Le reti energetiche, un tema di solito confinato ai convegni degli esperti del settore, stanno lentamente entrando nel dibattito mainstream della politica. A dar fuoco alle polveri è stato il senatore Calenda che in un’interrogazione parlamentare ha parlato di presunti extraprofitti delle società che le gestiscono.
L’argomento merita attenzione perché le reti sono una componente tanto essenziale, quanto spesso ignorata del sistema energetico. Non solo trasportano l'elettricità dalle centrali ai consumatori finali, ma, da quando sono entrate in gioco le rinnovabili, sono diventate un abilitatore fondamentale della transizione e dell’indipendenza energetica, perché consentono una sempre più diffusa generazione da rinnovabili sul territorio. Dunque, giusto se ne parli, ma il problema è stato affrontato nei termini corretti? Parrebbe di no. In particolare, l’allarme sulle mega rendite risulterebbe del tutto infondato, poiché basato su presupposti che non trovano riscontri effettivi in termini di numeri e dati.
A dirlo è il recente studio “Confronto delle remunerazioni nel settore della distribuzione di energia elettrica in Europa” diffuso da Ernst & Young (una delle quattro più grandi società di revisione contabile e consulenza nel mondo) secondo il quale la regolazione italiana garantisce ai distributori ricavi medi pari a 185 euro per cliente, contro una media europea di 436 euro. Sostanzialmente uno dei valori più bassi in assoluto tra tutti quelli presi in esame. In Paesi come Norvegia e Svezia le cifre raggiungono addirittura 1.349 e 893 euro per cliente. Prima di arrivare all’Italia, che è appunto quartultima nella speciale classifica redatta, ci sono tutti i Paesi scandinavi, la Germania, la Francia, i Paesi Bassi, l’Austria, l’Irlanda e il Regno Unito. Solo Grecia, Portogallo e Spagna registrano importi inferiori.
Il report di EY, inizialmente sviluppato per confrontare la situazione spagnola con quella del resto d’Europa, ha messo in luce in realtà che l’Italia è molto al di sotto dei principali Paesi europei anche per quanto riguarda i ricavi per MWh distribuito e per chilometro di rete (21 mln €/MWh e 5.378 €/km, contro una media Ue di 26,82 mln € e 7.984 €/km). Anche qui Francia e UK registrano cifre nettamente più alte, la Germania perfino il doppio di quelle del Belpaese.
Nel complesso, i ricavi totali riconosciuti dal regolatore ai distributori italiani ammontano a 6,86 miliardi di euro, un valore nettamente inferiore rispetto, ad esempio, ai 22,31 miliardi della Germania, ai 15,61 miliardi della Francia e più basso anche dei 7,32 miliardi del Regno Unito. E pensare che l’Italia è invece terza per lunghezza della rete elettrica, con ben 1 milione e 276 mila chilometri gestiti, seconda solo a Germania e Francia. Il nostro Paese è sul podio, sempre in terza posizione, anche per la domanda annuale di energia (327.000 Gwh) e per numero di clienti (più di 37 milioni). Non male per uno Stato che, in Europa, è solo decimo per estensione territoriale.
Ci troviamo dinanzi, quindi, a dati che smentiscono nettamente le accuse sui guadagni potenzialmente sproporzionati mosse ai gruppi di distribuzione elettrica all’interno dello Stivale. Lo stesso presidente dell’ARERA, aveva ribadito che i costi medi dell’infrastruttura in Italia sono tra i più bassi d’Europa, in un contesto in cui la qualità del servizio è invece tra le migliori.
In conclusione, il quadro delineato dallo studio di Ernst & Young evidenzia un sistema regolatorio equilibrato, che riesce a coniugare efficienza operativa e tutela dei consumatori.
L’Italia, che appare lontana da presunte rendite monstre, può vantare invece un settore delle grids solido, competitivo e capace di garantire, pur con una rete imponente, elevati standard di affidabilità (anche grazie ai tantissimi investimenti effettuati), con costi tra i più contenuti d’Europa.