Transizione energetica

Tecnologia e transizione energetica: perché all'Italia serve un nuovo Iri

Un nuovo Iri per la ricostruzione dell'economia italiana? Può essere l'asse Fsi-Cdp Equity, da far lavorare a stretto contatto con i principali istituti su temi come la transizione energetica e il digitale

La storica sede dell'Iri in Via Veneto a Roma
La storica sede dell'Iri in Via Veneto a Roma

Novant'anni fa, il 23 gennaio 1933, con il Regio Decreto 5/1933 veniva istituito l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (Iri), destinato a diventare per decenni cuore pulsante dell'economia italiana. Fondato dal regime fascista per assistere banche e imprese prostrate dalla Grande Depressione e plasmato come conglomerato trasversale negli anni della Prima Repubblica, l'Iri ha incarnato forza e contraddizioni dello sviluppo e della Ricostruzione italiana.

L'Iri era l'ente che controllava buona parte delle aziende a partecipazione statale che fecero la fortuna dell'Italia a trazione democristiana. E assieme all'Eni di Enrico Mattei fu il grande protagonista del sistema di economia mista che rappresentò il grande punto d'incontro tra le due culture egemoni dell'Italia nata dalla Resistenza, quella socialista e laburista da un lato e quella popolare e cattolica dall'altro, e creò una "terza via" all'italiana nel pieno della Guerra Fredda. L'Iri fu il volano della costruzione di opere strategiche come l'Autostrada del Sole, la rete mondiale di cavi della Stet, la rete di acciaierie che garantirono l'indipendenza all'Italia nella materia più strategica per la manifattura. Fu, prima della stagione complicata dei salvataggi delle aziende in perdita e degli oneri impropri, la centrale di pianificazione del futuro del Paese. La cui esperienza deve essere riscoperta oggi che le sfide sono quelle della doppia transizione, ecologica e digitale.

Due sfide da affrontare a livello di sistema Paese. Un nuovo Iri oggi è necessario per affrontare con le nuove forze dello Stato stratega le partite equivalenti a quelle governate dallo Stato-imprenditore fino al collasso del Muro di Berlino e affidate alle forze di mercato dallo Stato-regolatore nell'ultimo trentennio: la corsa alle tecnologie di frontiera, la sicurezza industriale, la distribuzione di benefici produttivi e di posti più alti nelle catene del valore all'industria nazionale. A cui oggi si aggiunge la necessità di supportare i mercati più fragili e le fasce in difficoltà della popolazione per adattarsi ai nuovi cambiamenti di paradigma e di garantire neutralità alla corsa alle nuove tecnologie e sostegno alla ricerca di frontiera.

Lo Stato italiano ha necessità di individuare un ente capace di diventare il "nuovo Iri" per le doppie partite di transizione prossime ad aprirsi. Partite che interessano l'industria, la ricerca, le infrastrutture, i volano dello sviluppo. Come scritto su Inside Over, le necessità su cui deve fare conto il Paese sono fortemente evolute rispetto a quelle dell'intensa stagione del boom economico. Quell’Italia "aveva bisogno di infrastrutture di base, di costruire un tessuto produttivo funzionale allo sviluppo di un settore manifatturiero di livello mondiale, di procacciarsi conoscenze e materie prime necessarie al decollo del Paese". Ora invece le priorità sono più articolate: "padroneggiare la rivoluzione tecnologica e metterla al servizio del rilancio dell’Italia come grande Paese industriale, far fronte al deperimento delle infrastrutture per connettere con nuovo slancio l’Italia e evolvere i paradigmi dell’industria manifatturiera, promuovendo come punta di lancia le medie imprese e le multinazionali leggere".

In un mondo in cui grandi Paesi come gli Stati Uniti scoprono il dirigismo sotto forma di sostegni pubblici alle industrie di frontiera e in cui emergono potentati come quello cinese la difesa del perimetro di tecnologie critiche e funzionali al benessere e allo sviluppo necessarie deve essere valutata come strategica per la sicurezza economica nazionale. Dai chip al ciclo di lavorazione di materie prime strategiche, dalle tecnologie per la transizione alle reti e ai cavi per la connessione ad alto voltaggio, passando per le reti funzionali al dual use gas-idrogeno, molti sono i campi in cui il sapere imprenditoriale di molte Pmi, la forza dei prime contractor e la capacità del tessuto universitario e di ricerca può e deve essere messo a sistema.

Un nuovo Iri non dovrà essere, chiaramente, il portabandiera delle partecipazioni e della "cassa" statale. Dovrà piuttosto agire da stratega, da venture capitalist per tecnologie, spin-off universitari, start-up. Dovrà prevenire la conquista straniera di aziende strategiche, soprattutto a livello di Pmi, entrando nei capitali delle società in crescita, valorizzandone lo sviluppo, evitando che strumenti come il golden power diventino limitanti della crescita dimensionale e dei fatturati. Potrà e dovrà mettere a sistema ricerche capaci di innovare i settori industriali hard to abate, ad esempio promuovendo l'economia circolare nell'industria.

Due enti che può avere i connotati ideali per assolvere al ruolo di "Iri della transizione" sono il Fondo nazionale innovazione e Cdp Equity (ex Fondo strategico italiano), costituiti in seno a Cassa depositi e prestiti (Cdp). Essi possono spingere sul fronte del sostegno all'economia reale e avanzare a tutto campo la crescita delle imprese. Un asse ulteriore di tale manovra potrebbe essere la convergenza degli sforzi sulla doppia transizione dei tre maggiori poli di ricerca in materia di innovazione: l'Istituto Italiano di Tecnologia, il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l'Enea. La logica della doppia transizione, con l'efficienza come driver e il benessere collettivo come orizzonte di una rinnovata politica dell'innovazione e dell'industria, deve guidare un eventuale ente di questo tipo. Capace di assolvere alle stesse funzioni dell'Iri evitando il problema di trasformarsi nel temuto "carrozzone" pubblico improduttivo.

Serve pensare con originalità al "nuovo Iri", dargli profondità e strutturazione per muoversi nei gangli di un'economia globale in cui, come dimostra Next Generation Eu, tutti gli Stati a economia avanzata riscoprono i finanziamenti collettivi e il protezionismo nei settori su cui si giocherà la competizione di domani. L'energia pulita e le nuove tecnologie che servono a governarla sono due fronti correlati. All'Italia il compito di giocare, come può fare, da grande potenza sfruttando le leve economiche e politiche dello Stato. Per non morire d'ignavia nella "Grande Tempesta" della competizione globale. E essere, una volta di più, avanguardia.

Imparando dagli errori ma soprattutto dai risultati positivi del passato.

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