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Telco in pressing sul caso frequenze

Chiesti sconti sul canone per fare gli investimenti: "Rischiamo di dover licenziare"

Telco in pressing sul caso frequenze
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Nessuno degli emendamenti prioritari per le aziende di telecomunicazioni sono stati inclusi tra i «segnalati» da portare nella manovra del governo. Ma, a sentire alcune voci di settore vicine al dossier, non è detta l'ultima parola. Asstel, l'associazione di categoria guidata dall'ad di Tim Pietro Labriola, in particolare ha a cuore la questione dei rinnovi delle concessioni sulle frequenze, con le attuali che andranno a scadere nel 2029. La proposta, da quanto si evince da uno degli emendamenti, è ritenere «in tutto o in parte» assolto il pagamento del canone «mediante realizzazione di investimenti di valore equivalente». In parole semplici: l'idea è di utilizzare le risorse risparmiate dallo sconto per investire sull'ampliamento della rete o comunque su obiettivi che il ministero delle Imprese e del Made In Italy, guidato da Adolfo Urso, riterrà strategici. Proprio il ministro, insieme al sottosegretario con delega all'Innovazione Alessio Butti, non ha chiuso a questa possibilità durante l'ultimo Forum nazionale delle Telecomunicazioni.

Al momento, ogni anno lo Stato incassa circa mezzo miliardo dal versamento del canone per le frequenze dalle aziende telco (le varie Tim, WindTre, Vodafone-Fastweb e Iliad). Questo nuovo regime, se mai venisse approvato, entrerebbe in vigore dal 2030 e quindi non avrebbe peso immediato sul bilancio dello Stato. A quanto risulta a Il Giornale, i tecnici del ministero dell'Economia starebbero valutando la cosa pur non avendo ancora preso una decisione. L'opinione degli esponenti del settore, tuttavia, è che il gettito potrebbe essere recuperato attraverso gli effetti diretti degli investimenti (come, per esempio, la spinta degli incassi dell'Iva). Ci sarebbe poi una questione di politica industriale a stimolare la necessità della misura: secondo i dati del Politecnico di Milano per Asstel, gli investimenti privati sono già calati del 26% tra 2020 e 2024 e sarebbero ancora in calo, con conseguenze immediate per le finanze pubbliche (minore contributo al Pil, minore valore aggiunto e quindi minori imposte). Per questo il settore chiede un intervento immediato, per poi poter programmare gli investimenti con un'ottica a più lunga scadenza. Le aziende di telecomunicazioni scontano un eccesso di concorrenza (quattro operatori infrastrutturati) con schiacciamento di tariffe e margini oltre alla storica avversione dell'Antitrust europeo nel concedere aggregazioni tra gli operatori. Una situazione che ne ha ridotto la capacità d'investire, con alti livelli d'indebitamento e gruppi che spesso registrano perdite. «Il rischio non è solo di non poter fare gli investimenti ma, ad un certo punto, di dover ricorrere ai licenziamenti», afferma una fonte di settore. A tal proposito, non è rientrato tra i segnalati anche la proposta sull'istituzione di un numero verde nazionale per fornire supporto ai cittadini nell'utilizzo dei nuovi servizi digitali della Pubblica amministrazione. Una proposta che avrebbe già le coperture, e che consentirebbe di ricollocare i lavoratori dei call center in cassa integrazione.

Tra gli emendamenti segnalati, invece, hanno proseguito il percorso quello del cosiddetto contratto di espansione, che permette alle aziende di accedere a uno sconto sui contributi fino a esaurimento delle risorse per le aziende che si stanno riorganizzando e ricorrono ai prepensionamenti. Inoltre, altri emendamenti alla manovra ampliano il raggio d'azione per la Transizione 5.

0, gli incentivi per le imprese italiane volte a sostenere la transizione digitale e green. Con le modifiche che si vorrebbero apportare, verrebbero incluse componenti per la digitalizzazione che potrebbero portare benefici anche alle aziende di tlc.

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