Politica estera

Spin doctor, tv e marketing: cosa c'è dietro il mito immortale di JfK

Non ci fu solo l'immagine ad aiutare il giovane senatore democratico a conquistare la presidenza, ma anche un attento uso degli spin doctor e l'introduzione di tecniche innovative come l'uso di database elettorali e l'impiego di messaggi destinati a microsegmenti di votanti

Spin doctor, tv e marketing: cosa c'è dietro il mito immortale di JfK

John Fitzgerald Kennedy è un presidente che ha segnato l’immaginario collettivo soprattutto per il suo tragico assassinio, avvenuto il 22 novembre 1963 a Dallas, in Texas. Prima di allora però, doveva la sua fama soprattutto al suo sapiente uso dei nuovi media, grazie ai quali seppe bruciare le tappe e a conquistare la presidenza nel 1960. Fino a quattro anni prima era un politico non particolarmente conosciuto, rampollo di una ricca famiglia di origini irlandesi che aveva occupato numerose posizioni nel governo locale del Massachusetts.

Certo, aveva un background da veterano della Seconda Guerra Mondiale, laureato ad Harvard brillantemente e anche con un certo carisma. La svolta arriva con un libro pubblicato a inizio 1956 intitolato Profiles in Courage che analizza le decisioni controcorrente di otto senatori americani nel corso della Storia, che sfidarono il volere della maggioranza del partito per mantenere la loro integrità. Quel libro vinse il premio Pulitzer nel 1957, ma dietro gran parte della scrittura c’era il cervello del principale spin doctor del giovane senatore, Ted Sorensen. Quest’ultimo è stato il principale aiuto di Kennedy nella sua scalata, convincendolo a rinunciare alla nomination da vicepresidente nel 1956 dietro l’ex governatore dell’Illinois Adlai Stevenson, considerato un noioso intellettuale inadatto all’uso della televisione per veicolare i suoi messaggi.

Anche Kennedy all’origine aveva difficoltà a confrontarsi con il pubblico e i dibattiti di fronte agli elettori. Con un attento cambio d’immagine però tutto questo cambiò, insieme a una lenta conquista dei giornalisti specializzati con i quali il senatore iniziò a tessere una relazione simbiotica anche per evitare che potessero emergere i suoi noti punti deboli relativi alle numerose infedeltà coniugali e ai suoi problemi di salute. Oltre a questi c’era un altro problema difficilmente occultabile: John Fitzgerald Kennedy era cattolico e voleva evitare che il pregiudizio del Profondo Sud, al tempo parte integrante della coalizione democratica post-New Deal, potesse affossarne le speranze.

Non c’era però solo la cura dell’immagine e dei rapporti con la stampa. Sorensen aiuta Kennedy a costruire il primo vero e proprio database dei contatti che hanno partecipato alle decine di incontri pubblici che il senatore comincia a organizzare in giro per il Paese, ivi compreso quel Midwest industriale che all’epoca era un granaio di voti imprescindibile per i dem: nel corso del 1957 gli incontri che tiene sono ben 140, quindi i dati raccolti sugli elettori nel giro di quell’anno sono circa trentamila.

John F Kennedy
Manifesto elettorale di JfK

Un’altra tecnica moderna viene utilizzata da Kennedy e riguarda la cosiddetta microtargetizzazione: la moglie Jacqueline registra uno spot declamato esclusivamente in spagnolo, per conquistare i voti dei cittadini di origine messicana. Con gli afroamericani, invece, si muove in modo cauto, proprio per non disturbare gli elettori del Profondo Sud dei quali faceva parte anche il suo candidato vicepresidente Lyndon Johnson, leader del gruppo dem al Senato. Da un lato la posizione nel programma ufficiale emerge blandamente, senza particolari segni di un piano di riforme ampio e strutturato, dall’altro singoli gesti come la chiamata alla moglie del reverendo Martin Luther King, arrestato a ottobre 1960 durante una protesta ad Atlanta, in Georgia, mentre dietro le quinte il fratello Robert cercava di convincere il governatore segregazionista dello stato Ernest Vandiver a liberarlo, impresa coronata dal successo.

Anche a novembre la Georgia rimane nel campo dem, nonostante un risultato inaspettatamente buono per il ticket repubblicano guidato dal vicepresidente dell’amministrazione Eisenhower Richard Nixon, che ottiene un 37% in un territorio completamente dominato dai cosiddetti “Dixiecrats”. Lo stesso Nixon era stato la vittima designata della strategia televisiva progettata da Kennedy e Sorensen qualche anno prima: il 26 settembre del 1960 si tiene il primo dibattito in diretta nazionale sul piccolo schermo e viene trasmesso contemporaneamente anche per via radiofonica.

Per i telespettatori, Kennedy fa una miglior figura, mentre per gli ascoltatori senza video Nixon è sembrato più preparato. A far la differenza, è la preparazione del senatore del Massachusetts. La vittoria kennediana non è netta: l’amministrazione Eisenhower ha lasciato un’America sostanzialmente pacificata, nonostante le proteste del Sud contro l’attuazione della sentenza della Corte Suprema Brown vs. Board of Education del 1954 comincino a diventare sempre più frequenti e violente, sovente spalleggiate anche dalle autorità locali.

Poco più di centomila voti separano Kennedy e Nixon. In Illinois i voti di distacco sono solo ottomila. Difficile non ravvisare l’importanza del lavoro fatto con i singoli segmenti elettorali, compresi gli afroamericani del Nord che vengono convinti a sceglier il ticket dem nonostante la presenza dei sudisti nella coalizione.

Kennedy arriva alla Casa Bianca con una nuova consapevolezza sull’uso dei media che sarà anche parte della costruzione del suo mito, rafforzato dopo la sua tragica morte.

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