Il "cerchio magico" di Trump: chi sono i 5 esperti che lo consigliano sull'Iran

Il presidente americano deciderà entro le prossime due settimane se unirsi a Israele per colpire il regime degli ayatollah

Il "cerchio magico" di Trump: chi sono i 5 esperti che lo consigliano sull'Iran

Due settimane al massimo per decidere su un intervento Usa in Iran. Questo il limite temporale indicato dal presidente americano Donald Trump che dopo aver evocato un’imminente mossa da parte della sua amministrazione al fianco di Israele per distruggere il sito nucleare di Fordow – un colpo che si potrebbe rivelare micidiale per il regime di Teheran - ha tirato il freno fornendo alla diplomazia nuovamente, e forse per l’ultima volta, la possibilità di evitare un'ulteriore drammatica escalation nel conflitto tra Israele e Iran. Se a questo punto ci si domanda quali considerazioni farà il capo della Casa Bianca nei prossimi giorni, non meno importante diventa però comprendere quali consiglieri lo aiuteranno a valutare se premere, oppure no, il grilletto.

A dare conto del ristretto "cerchio magico" a cui si starebbe affidando il tycoon è il Washington Post secondo cui in questo dream team ci sarebbero il vicepresidente J.D. Vance, il segretario di Stato Marco Rubio, il direttore della Cia John Ratcliffe e il capo di Stato maggiore delle Forze armate, il generale Dan Caine. Un quartetto a cui si aggiunge il generale dell’esercito a capo dello Us Central Command, Michael “Erik” Kurilla. Tutti collaboratori del presidente ritenuti sin qui meno influenti ma più esperti rispetto ad altre figure come il capo del Pentagono Pete Hegseth e il direttore della National Intelligence Tulsi Gabbard. Personalità che, sottolinea il quotidiano Usa, sono “più note per le loro apparizioni su Fox News e per le invettive contro un presunto Deep State che per la loro esperienza nell’esecutivo”.

A detta di diverse ricostruzioni, è il vicepresidente Vance quello che ha più da perdere dal conflitto con l’Iran. Proprio lui, da ex militare, ha visto da vicino il fallimento dei tentativi di nation building in Iraq e Afghanistan ed è diventato uno strenuo oppositore dell’esportazione della democrazia in Medio Oriente e altre parti del mondo. Adesso si ritrova a dover difendere la nuova linea di Trump, il quale sino ad una decina di giorni fa era contrario ad una soluzione militare nei confronti di Teheran. Un’evoluzione di pensiero che ha spaccato una parte del movimento Maga. Spetta a Vance cercare di spiegare alla base del nuovo partito repubblicano la svolta interventista della politica estera statunitense, con la consapevolezza che le sue ambizioni presidenziali potrebbero intrecciarsi al destino della Repubblica Islamica.

Notevole l’ascesa del segretario di Stato Rubio, ex avversario di Trump nel 2016, che dopo le dimissioni “forzate” del consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz si ritrova a ricoprire ad interim anche tale carica. Una circostanza che accomuna l’ex senatore della Florida a Henry Kissinger. Secondo Politico, la Casa Bianca intende rendere permanente il doppio incarico di Rubio che, senza attirare l’attenzione dei media con scandali che hanno invece colpito altri membri della squadra del presidente, ha accumulato incarichi ed influenza quasi senza pari.

Altrettanto significativa la figura del direttore della Cia Ratcliffe, presente ad un meeting chiave nella cronologia della crisi in Medio Oriente che ha avuto luogo l’8 giugno scorso a Camp David. Nel corso di tale riunione, Trump è stato aggiornato sulla possibile decisione militare israeliana sul dossier nucleare iraniano messa poi in atto dallo Stato ebraico la notte tra il 12 e il 13 giugno. È stato Ratcliffe ad informare il presidente del fatto che “con alta probabilità” Tel Aviv intendesse di lì a poco attaccare Teheran, con o senza il sostegno degli Stati Uniti. Il capo dell’agenzia di Langley avrebbe esposto nelle ultime settimane una visione pessimistica sul programma atomico della Repubblica Islamica, vicina a quella del miliardario. Rimanendo nell’ambiente dello spionaggio statunitense, al contrario, Gabbard, la responsabile della National Intelligence, avrebbe invece perso influenza all’interno della corte del tycoon a causa delle posizioni più critiche sui reali progressi nucleari di Teheran.

Tra i militari, i più ascoltati alla Casa Bianca in questa fase sono Kurilla e Caine che hanno discusso direttamente col presidente Usa delle opzioni militari contro l’Iran. Il capo del Centcom, detto “il gorilla”, ha espresso il suo sostegno a favore della linea dura nei confronti del regime degli ayatollah anche se, come riferisce il Washington Post, avrebbe presentato al commander in chief un’ampia gamma di opzioni senza esprimere la sua preferenza per un eventuale attacco militare. Di Caine si dice che abbia indicato al presidente anche gli effetti non immediati che un intervento americano potrebbe determinare. Missing in action appare dunque il segretario alla Difesa Hegseth, il quale dopo lo scandalo della diffusione in chat su Signal di informazioni governative riservate risulta essere sempre più in secondo piano.

Se questi sono gli uomini che consiglieranno Trump sull’Iran, è importante ricordare che il leader Usa prende spesso decisioni basandosi sul suo istinto. Jack Reed, senatore democratico della commissione per le Forze armate, dichiara che “il presidente cambia posizione così rapidamente che è difficile tenere qualcuno informato. Sono sicuro che non chiami nessuno dei suoi consiglieri all’una di notte quando parla di ‘resa incondizionata’” di Teheran (il riferimento è al post sul social Truth pubblicato martedì scorso dal repubblicano).

John Bolton, ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump al tempo del suo primo mandato, afferma che il presidente “parla con molte persone e cerca qualcuno che dica le parole magiche. Sente qualcosa e decide: ‘È vero, è quello che credo’. E questa convinzione dura fino alla conversazione successiva”. E intanto il Medio Oriente e il mondo attendono la decisione di The Donald.

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