
C’è qualcosa di profondamente stonato nella narrazione trionfalistica dell’economia americana che abbiamo letto in qualche frettoloso resoconto.
Certo, gli ultimi dati sul mercato del lavoro hanno sorpreso positivamente, la fiducia dei consumatori si mostra più resiliente di quanto ci si aspetterebbe, mentre l’apparente solidità dei fondamentali cancella i timori di una recessione che un paio di mesi fa sembrava imminente. Ma come si concilia questo trend con scelte politiche che, a rigor di logica, avrebbero dovuto frenare il ciclo espansivo? Probabilmente siamo di fronte a una lettura fuorviante del fenomeno, merita dunque
indagare sotto la superficie dei dati sommari forniti dalle fonti ufficiali.
Cominciando col precisare che la politica economica perseguita dall’amministrazione Trump, tra dazi stellari, spesa pubblica aggressiva e tagli fiscali non sostenuti da un’adeguata riforma strutturale, ha alimentato un debito pubblico galoppante e contribuito a surriscaldare un’economia che, post-pandemia, avrebbe avuto bisogno di riequilibrio, non di nuove forzature. Per esempio, l’apparente miracolo occupazionale nasconde un fenomeno di natura più ciclica che strutturale. Va infatti precisato che dei 147mila nuovi posti di lavoro creati a giugno, che hanno fatto gridare al «mistero glorioso», secondo il
Bureau of Labor Statistics di Washington ben 73mila riguardano il settore pubblico (scuola, sanità, enti locali), mentre il comparto privato è cresciuto solo di 74mila unità, il valore più basso da otto mesi. In più, la partecipazione alla forza lavoro, per le dinamiche demografiche e le nuove politiche migratorie, viene indicata in calo al 62%, livello più basso dal 2022. Sicché, il rimbalzo post-Covid, unito alla capacità straordinaria delle aziende americane di adattarsi in tempi rapidi, ha sì generato nuova occupazione, ma non necessariamente benessere diffuso, visto che la manifattura continua ad essere sofferente e dunque si accentuano
le diseguaglianze salariali. Insomma, siamo davanti a una crescita quantitativa, più che qualitativa.
Nel frattempo, la Federal Reserve è costretta a mantenere tassi elevati, proprio per contenere un’inflazione che si rivela più persistente del previsto (a maggio i consumatori segnalavano attese di un aumento del 3,3% entro l’anno): un segnale che i fondamentali dell’economia reale non sono poi così solidi. Perciò il rischio è di alimentare una narrativa ottimista che poggia su basi fragili: l’economia cresce, è vero, ma a costo di un’inflazione che erode i redditi reali e minaccia la sostenibilità di lungo periodo.
Basti pensare al dollaro, la cui caduta accelerata potrebbe sembrare una vittoria di Trump: indebolire il biglietto verde era un suo obiettivo strategico, per facilitare l’export delle aziende americane. Ma la sua intenzione era di arrivarci attraverso
un accordo con vari Paesi, invece l’attuale debolezza ha un motivo diverso: l’oggettiva perdita di credibilità degli Stati Uniti e il calo della fiducia globale. E ciò ha delle conseguenze.
Naturalmente se il punto d’osservazione è l’andamento euforico dei titoli tecnologici a Wall Street, l’immagine è di una economia americana che viaggia a gonfie vele. Che però mal si concilia con la condizione di milioni di percettori di solo reddito, la cui fragilità sottostante è visibile in trasparenza. Per di più il debito pubblico, incrementato da deficit fiscali senza riforme strutturali, affiancato a politiche protezionistiche che comprimono investimenti e fiducia delle imprese, rischia di erodere gli spigoli di quell’illusorio benessere.
In questa apparente schizofrenia tra indicatori positivi e rischi latenti, l’impressione è che si voglia vedere a tutti i costi il bicchiere
mezzo pieno. Ma il compito di un’analisi onesta non è di cercare conferme alle proprie speranze, bensì di interrogarsi sui segnali deboli, sugli squilibri strutturali, sulla sostenibilità delle scelte politiche e fiscali. L’economia americana ha indubbi punti di forza – dalla leadership tecnologica alla flessibilità del mercato del lavoro – ma si muove oggi su un crinale scivoloso, dove l’euforia può rapidamente lasciare spazio all’instabilità.
L’Azienda America resta un motore importante dell’economia
globale, ma anche i motori più potenti hanno bisogno di manutenzione. Non si può vivere di rendita all’infinito. E ignorare le crepe solo perché la facciata appare solida è un lusso che oggi non ci si può più permettere.