Elon e Donald: l'eterna contesa tra il mercato e lo Stato

Negli Stati Uniti si è inaugurata una sfida tra l’elemento individuale, che avrebbe voluto sconvolgere assetti e tradizioni consolidate; e l’elemento istituzionale, che affonda le sue radici nella costruzione della democrazia più antica del mondo

Elon e Donald: l'eterna contesa tra il mercato e lo Stato
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In attesa che qualche AI generi un deepfake con la telefonata della riconciliazione, l’asse tra Donald Trump ed Elon Musk sembra essersi infranto.

L’architrave del nuovo potere americano, saldato sull’inedita alleanza tra destra di popolo e Silicon Valley, per ora è crollato.

Gli alfieri del risentimento popolare anti-sistema sono entrati in rotta di collisione con i capitalisti digitali. E il tentativo di Big Tech di trovare una solida sponda istituzionale nell’epoca del trumpismo si è schiantato contro il muro della politica e delle istituzioni.

Non è solo una faida personale. Piuttosto, una faglia ideologica più profonda. Una crepa che attraversa tutta la storia americana. L’eterna contesa tra individuo e Stato; autoregolazione del mercato e primato della politica.

Una collisione tra due miti fondativi che rischia di sfociare dall’epica nella distopia. Da una parte, il tecno-libertarismo che brandisce dati, capitali e competenze come armi di disintermediazione di massa. Convinto che basti un algoritmo per rendere lo Stato minimo, snello, automatizzato. Dall’altra, il bisogno d’ordine che sale dal fondo della sovranità popolare, si fa plebiscito, reclama disciplina e comando. Tocqueville non basta più. Qui siamo nel mondo di Ayn Rand, ma rovesciato: non è l’industriale a spezzare le catene del Big Government. È il governo che spezza l’industriale.

Lo dimostra il trattamento riservato a Musk dai fedelissimi MAGA. Quello più clamoroso porta la firma di Steve Bannon. L’ex stratega accusa l’uomo più ricco del mondo di essere un tossicodipendente e di aver messo piede illegalmente negli Stati Uniti. Un clandestino, insomma, una minaccia per la sicurezza nazionale. Quello meno spettacolare, ma profondamente politico, si manifesta nell’evolversi della battaglia parlamentare. Al Congresso si discute il One Big Beautiful Bill Act, la maxi-manovra che taglia le tasse alle imprese, toglie i sussidi per le auto elettriche e aumenta la spesa per difesa e sicurezza. Musk ha lasciato il Doge - il Dipartimento per l’efficienza governativa - sbattendo la porta contro questo provvedimento. L’ha bollato come un mostro clientelare che aumenterà il disavanzo pubblico in modo esorbitante. Ma in Senato la musica sta cambiando. Emergono le nuove leve del trumpismo, come Josh Hawley, giovane pro-labor, che mettono l’accento sulle conseguenze anti-comunitarie delle politiche iperliberiste. Si oppongono ai tagli al Medicaid: undici milioni di americani rischierebbero di perdere l’assistenza sanitaria. E quei voti contano. Più di tweet e algoritmi.

Da qui una prima conclusione. Negli Stati Uniti, dopo l’elezione di Trump, si è inaugurata una sfida tra l’elemento individuale, che avrebbe voluto sconvolgere assetti e tradizioni consolidate; e l’elemento istituzionale, che affonda le sue radici nella costruzione della democrazia più antica del mondo. La sfida è aperta. Ma quanto sta accadendo, smentisce coloro i quali ne avevano già decretato il risultato finale, classificando l’America tra i regimi inevitabilmente avviati verso esiti autocratici.

La politica e le sue istituzioni hanno fatto in fretta a rivendicare i loro diritti. A chiarire che l’America profonda è quella che ci ha descritto JD Vance nella sua utilissima autobiografia.

Ma è anche quella della Dichiarazione d’indipendenza e poi della costituzione federale.

Piuttosto, affinché gli ultimi dubbi sulla robustezza del processo democratico d’oltre Atlantico possano dissiparsi, c’è un convitato di pietra che non risponde all’appello. È il Partito Democratico. È spaesato. Avrebbe già dovuto approfittare della guerra civile esplosa nella destra trumpiana. Invece, sembra impantanato tra un moderatismo senza fiato e un radicalismo senza bussola. La pasionaria della sinistra Alexandria Ocasio-Cortez liquida tutto come una rissa tra narcisisti. Troppo facile.

Il punto è che l’opposizione non ha un’idea né tanto meno una sua versione del sogno da proporre. Non ha un leader. E neanche lei sa come tenere insieme le istituzioni democratiche e il potere digitale; l’algoritmo e la democrazia costituzionale.

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