Francia, perché è tutta colpa di Macron

Così le forzature per isolare Le Pen si ritorcono contro il presidente

Francia, perché è tutta colpa di Macron

Può darsi che avesse ragione il generale De Gaulle a dire che è molto difficile «governare un Paese che ha 246 differenti varietà di formaggio». Certo è che ormai è la Francia, non più l'Italia, a detenere il primato europeo dell'instabilità politica. Non a caso l'ennesima crisi che ieri ha portato alle dimissioni di Bayrou fa parlare del tramonto della V Repubblica. Lo stesso Macron sembra essere di questo avviso, tanto che starebbe pensando di «passare» a un sistema di voto proporzionale. Ora, è possibile che, effettivamente, in Francia si stia chiudendo l'epoca del semi-presidenzialismo. I segnali ci sono tutti. Ma sarebbe comunque errato occultare, dietro ragionamenti sistemici, le palesi responsabilità di Emmanuel Macron negli avvenimenti che hanno destabilizzato la Francia nell'ultimo anno. Tutte le democrazie, quale che sia la forma di governo, sono organismi complessi e, al tempo stesso, fragili. Perciò vanno sempre maneggiati con cura. Ebbene, Macron non l'ha fatto.

Si può discutere se fosse giusto, dopo il risultato delle elezioni europee, sciogliere l'Assemblea Nazionale. A quel tempo molti supponevano che egli, in tal modo, si accingesse a «dirigere», dall'Eliseo, la coabitazione con un probabile esecutivo Le Pen, tentando di logorarla di fronte all'inedita prova del governo. In fondo, sarebbe stato l'esito più naturale per il sistema semipresidenziale, già sperimentato più volte. Viceversa, Macron ha voluto operare una «forzatura». In nome del «cordone sanitario» da imporre alla destra, nel secondo turno di voto ha proposto alla gauche un «patto di desistenza», una sorta di alleanza resistenzial-repubblicana. Dando vita così ad un «nuovo fronte popolare».

Tutto legittimo, per carità. Se non che, dopo il voto, con un triplo salto mortale, Macron ha imposto una seconda «forzatura». Ha negato il governo al Fronte che aveva regolarmente vinto le elezioni (assieme ai suoi centristi) e si è rifugiato in confuse alchimie di palazzo. Ebbene, in quel momento, il rapporto tra elettori e governo è stato totalmente reciso. E oggi è l'intera Francia a pagarne le conseguenze. Non c'è allora da stupirsi se, vista anche la grave crisi finanziaria, diventa «normale» il ricorso alla piazza con l'intento di «bloccare tutto». Gabriel Attal, Michel Barnier, François Bayrou: l'Eliseo ha già cambiato tre premier e ora si appresta a nominarne un quarto. Sempre e comunque navigando in un inquietante vuoto di rappresentanza. È possibile, come detto, che il modello semipresidenziale abbia fatto il suo tempo: eppure i fatti dimostrano che a collassare non è stato tanto lo storico sistema gollista quanto la gestione politica, insieme altalenante e arrogante, di Macron. Non so se il Presidente sia un cavallo di razza: quel che è certo è che si imbizzarrisce un po' troppo spesso. E troppo spesso pretende di dare lezioni a tutti.

Ne consegue una riflessione più generale. Tutte le democrazie, dagli Usa all'Europa al Giappone, sono in crisi, segnate da profonde instabilità. Ma proprio per questo chi le governa deve sapere che ogni «forzatura» sulle regole o sulla prassi istituzionale, può diventare esiziale. Detto più chiaramente: in assenza di saggezza e di umiltà da parte delle classi dirigenti, la «crisi politica» può davvero rapidamente diventare una «crisi di sistema». Ecco «l'avviso» che parte da Parigi.

Infine: se la causa della «malattia francese» fosse davvero il suo sistema di voto, come mai sia la Germania, dove si vota con il proporzionale, che il Regno Unito, dove vige il maggioritario più antico del Continente, sembrano attraversare analoghe (sia pure per ora meno traumatiche) crisi di governabilità? Forse, allora, ci sono domande più profonde da porsi. La prima è certamente quella che riguarda la reazione alla tumultuosa avanzata delle destre nel mondo. Siamo proprio sicuri che organizzare «cordoni sanitari», o «fronti popolari» simil-resistenziali, siano davvero strategie vincenti? Non sarebbe piuttosto il caso di affrontare, con serietà e senza pregiudizi, dal rigetto dell'immigrazione illegale alla difesa dei valori tradizionali della civiltà occidentale, le idee-forza della loro crescita di consensi? Sta qui il nodo tutto politico del «caso francese».

Del resto, come accaduto in tanti altri momenti della storia europea, la crisi della democrazia si rivela sempre figlia dell'impotenza, delle forzature oppure della miopia della politica. Lo stesso succede oggi a Parigi.

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