Le proteste dei commercianti iraniani sono proseguite per il secondo giorno consecutivo a Teheran dopo il nuovo crollo del rial, la valuta nazionale, che ha raggiunto livelli storicamente bassi rispetto al dollaro statunitense. Secondo le testimonianze, centinaia di negozianti si sono radunati in via Saadi e nel quartiere di Shush, nelle immediate vicinanze del Grande Bazar, uno dei principali centri economici del Paese e tradizionale indicatore del malcontento sociale.
Video diffusi sui social media mostrano serrande abbassate e gruppi di commercianti che invitano altri operatori a interrompere le attività. Diverse attività commerciali hanno effettivamente chiuso, anche se non in modo uniforme. Le manifestazioni si sono svolte senza scontri diretti con le forze dell’ordine, ma con una presenza di sicurezza rafforzata nelle aree interessate.
Il rial ha toccato nei giorni scorsi una quotazione di circa 1,38 milioni per un dollaro sul mercato non ufficiale, con punte segnalate fino a 1,44 milioni. La valuta iraniana ha perso valore in modo progressivo nel corso del 2025: all’inizio dell’anno il cambio si attestava tra 1,25 e 1,3 milioni per dollaro, dopo aver superato la soglia di 1,1 milioni nei mesi precedenti. Il divario tra il tasso ufficiale fissato dalle autorità e quello del mercato libero continua ad ampliarsi, alimentando incertezza tra operatori economici e consumatori.
La svalutazione del rial si inserisce in un contesto di forte pressione inflazionistica. I dati ufficiali indicano un’inflazione annua superiore al 50%, con i prezzi dei beni alimentari aumentati di oltre il 60 per cento nell’ultimo anno. L’aumento del costo della vita ha inciso in modo significativo sul potere d’acquisto delle famiglie e ha reso sempre più difficile per i commercianti pianificare importazioni, prezzi e approvvigionamenti, in un’economia fortemente dipendente da beni esteri.
Le difficoltà economiche sono legate a una combinazione di fattori strutturali e internazionali, tra cui le sanzioni economiche che limitano l’accesso dell’Iran ai mercati finanziari globali, le restrizioni sulle esportazioni energetiche e l’incertezza geopolitica regionale. La scarsità di valuta estera ha contribuito ad accelerare il deprezzamento del rial, rendendo l’economia più vulnerabile agli shock esterni.
Le proteste dei commercianti si inseriscono in un quadro più ampio di mobilitazioni sociali registrate nel corso dell’anno, che hanno coinvolto anche altri settori, come trasporti e produzione alimentare, in risposta all’aumento dei costi e alle difficoltà economiche. La chiusura parziale dei mercati di Teheran rappresenta un segnale sensibile per le autorità, poiché il settore commerciale ha storicamente svolto un ruolo rilevante nella stabilità economica e politica del Paese. Per il momento le manifestazioni restano circoscritte e non sono state segnalate misure repressive dirette. Tuttavia, l’evoluzione della crisi valutaria e l’andamento dell’inflazione continuano a essere osservati con attenzione, in un contesto in cui la pressione economica appare sempre più centrale nel determinare il clima sociale in Iran.
In Iran esistono precedenti significativi di proteste legate a crisi economiche e al deprezzamento della valuta nazionale. Nel giugno 2018, migliaia di commercianti del Grande Bazar di Teheran chiusero le attività e scesero in strada per protestare contro il rapido crollo del rial e l’incertezza sulle politiche di cambio, in una mobilitazione che ebbe un forte impatto simbolico e politico.
Negli stessi anni, tra il 2018 e il 2019, ondate più ampie di proteste interessarono numerose città iraniane, alimentate dall’aumento dell’inflazione, dalla disoccupazione e dal peggioramento delle condizioni di vita, con l’adesione anche di settori commerciali e produttivi. Nel 2019 e nel 2020 nuove manifestazioni scoppiarono in seguito all’aumento dei prezzi dei carburanti, in un contesto di forte pressione economica e sociale.