
Esempio più unico che raro di leader comunista eletto democraticamente alla guida di un governo, il nepalese Sharma Oli ha dovuto aggiungere ieri un altro punto al suo record: ha dato le dimissioni. Chiunque al suo posto, in realtà, lo avrebbe fatto. Perché il poverissimo Nepal, che qui siamo abituati a considerare unicamente sotto il profilo turistico in quanto Paese himalayano per eccellenza che ha tra l’altro nel suo territorio il mitico monte Everest, è teatro da giorni di una violentissima rivolta giovanile, che ieri ha raggiunto il suo culmine.
I manifestanti hanno sfidato il coprifuoco imposto già venerdì scorso e la brutalità delle forze di sicurezza, che da quelle parti non scherzano e che lunedì avevano ucciso 21 di loro e feriti più di 400 sparando ad altezza d’uomo. E hanno dato prova di una rabbia e di una brutalità almeno equivalente, scatenando un’impressionante violenza per le strade della capitale Kathmandu e non solo. La lista degli episodi drammatici è lunga e i dettagli spesso spaventosi. La folla non solo ha dato alle fiamme gli edifici del Parlamento e della Corte Suprema, ma ha anche aperto una caccia all’uomo politico: parlamentari e ministri sono stati in più occasioni aggrediti brutalmente in pubblico, ma in diversi casi le vittime sono state raggiunte fin nelle loro abitazioni, date alle fiamme con loro chiuse dentro: è morta così la moglie di un ex primo ministro.
Questa ribellione è rivolta non solo contro il governo filocinese in carica, ma più in generale contro un mondo politico estremamente corrotto. Da quando nel 2008 l’antica monarchia feudale è stata abolita, il Nepal ha avuto 14 governi dei più vari orientamenti, e la loro comune sfacciata corruzione ha acceso la collera contro l’élite politica che divampa in questi giorni. L’ex regno himalayano ha un quarto dei suoi 30 milioni di abitanti sotto la soglia di povertà e un Pil di 1.450 dollari a persona (la metà della vicina India, mentre in Italia, per raffronto, siamo a oltre 38mila). La gioventù (quasi la metà dei nepalesi ha tra i 15 e i 40 anni) lamenta l’inazione del governo davanti al crescente impoverimento ed è frustrata dall’insopportabile arroganza dell’élite, che ostenta stili di vita lussuosi.
La collera della «generazione Z» nepalese si è scatenata quando su TikTok hanno cominciato a circolare video dei cosiddetti «Nepo-babies», i figli dei politici in vacanza in luoghi esclusivi: il governo ha commesso l’errore di reagire chiudendo l’accesso a una ventina di social tra i quali Facebook, YouTube e X, e la rivolta giovanile – che probabilmente sarebbe scoppiata comunque – è letteralmente esplosa, dopo che inizialmente si era mantenuta in modalità pacifiche. Il premier ha definito le sue dimissioni un gesto mirato a trovare delle soluzioni.
I rivoltosi potrebbero trovare un leader nel sindaco di Kathmandu, Balendra Shah, un 35enne ingegnere ex rapper estraneo alla politica convenzionale che si è apertamente schierato con loro e li ha invitati alla calma dopo che Oli si è dimesso e i social sono stati riaperti. Ma la tensione rimane estrema e l’incertezza è massima mentre l’aeroporto internazionale è chiuso e tutti i voli da e per il Nepal sono stati cancellati.