Guerra in Israele

Escalation e americani in fuga dal Medio Oriente: cosa rischiano ora gli Usa

Rivelato dal Washington Post lo scenario da incubo che in caso di escalation farebbe scattare un complesso piano di fuga di centinaia di migliaia di americani dalla regione mediorientale

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Gli Stati Uniti hanno ottenuto il rinvio dell’operazione di terra nella Striscia di Gaza grazie alle pressioni diplomatiche esercitate da Joe Biden e dal suo segretario di Stato Antony Blinken sul governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu. Il ritardo della resa dei conti con Hamas, giustificato da Tel Aviv con la necessità di attendere l’arrivo nella regione di altre forze militari Usa, non frena però le preoccupazioni della Casa Bianca che in queste ore studia tutte le evoluzioni possibili della crisi. Sul “resolute desk” del presidente sarebbe arrivato anche il dossier con lo scenario da incubo che secondo quanto riportato dal Washington Post comporterebbe l’evacuazione di centinaia di migliaia di americani dal Medio Oriente.

Funzionari anonimi del governo Usa hanno rivelato al quotidiano il timore che si arrivi ad un’escalation del conflitto in corso tra Israele ed Hamas che potrebbe coinvolgere altre organizzazioni filoiraniane se non proprio lo stesso Iran. In quel caso gli americani dovrebbero mettere in piedi in poco tempo e in condizioni di grande instabilità geopolitica un piano di fuga per i 600mila connazionali residenti nello Stato ebraico e per altri 86mila residenti in Libano. Un’eventualità che al momento viene considerata la peggiore tra quelle prese in esame ma che comunque non è possibile escludere del tutto. “Sarebbe irresponsabile non predisporre un piano per ogni situazione” dichiara infatti al Washington Post una fonte governativa.

Il Libano è l’osservato speciale in quanto da qui potrebbe arrivare presto una vera e propria offensiva di Hezbollah contro Israele. Il movimento sciita libanese, considerato l’organizzazione paramilitare più potente del Medio Oriente, sta aumentando l’intensità e la frequenza delle provocazioni e aggressioni al confine settentrionale israeliano contro le forze di Tsahal. “L’amministrazione è molto, molto preoccupata che la situazione possa sfuggire di mano” confida uno dei funzionari al quotidiano americano.

Dall’inizio della crisi scatenata dalla strage di Hamas del 7 ottobre gli Stati Uniti hanno dispiegato due portaerei e inviato una forza di risposta rapida di circa 2000 marines nel Mediterraneo Orientale. Il segretario della Difesa Lloyd Austin ha inoltre da poco confermato che a causa dell’accresciuta minaccia dell’Iran e delle organizzazioni ad esso affiliate è stato predisposto il rafforzamento delle difese aeree con l’invio nella regione di sistemi antimissile ad alta quota (Thaad) e di diverse batterie di missili terra-aria Patriot.

L’allarme della Casa Bianca non si limiterebbe in realtà soltanto agli americani residenti in Israele e Libano. I bombardamenti israeliani su Gaza e l’esplosione che ha coinvolto un ospedale della Striscia, seppur attribuito dai governi occidentali al lancio fallito di un razzo della Jihad islamica, hanno acceso la protesta contro Tel Aviv e Washington in molti Paesi mediorientali. Al Cairo migliaia di persone si sono riversate in Piazza Tahrir per manifestare contro la reazione israeliana alla mattanza di Hamas e in Giordania ci sono stati scontri tra gli agenti di polizia e i manifestanti che cercavano di raggiungere l’ambasciata dello Stato ebraico. “Negli ultimi 10 anni ci era stato detto che il mondo arabo e musulmano non aveva più a cuore la questione palestinese. Beh, adesso la Palestina è tornata e non penso sia mai andata via” sostiene Bruce Riedel, un esperto del Brookings Institution.

Dopo l’allerta diramata la settimana scorsa dal dipartimento di Stato a tutti gli americani all’estero con il suggerimento di fare attenzione nei luoghi frequentati dai turisti, il Pentagono ha annunciato di ritenere l'escalation imminente e di avere preso “tutte le misure necessarie” per proteggere il personale americano. In particolare, sarebbero a rischio i 3400 militari stanziati in Iraq e Siria. Alcune basi sono state già prese di mira dai proxy di Teheran ma fino ad ora non si registrano vittime tra i soldati Usa.

Nel frattempo anche la Cnn riporta una dichiarazione rilasciata da fonti di intelligence secondo cui "le spie d'allarme sono tutte accese".

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