Il Qatargate è il nome attribuito a uno scandalo giudiziario che ha coinvolto l'Europa e, in particolar modo, il parlamento europeo. Il termine rimanda al Qatar, proprio perché le indagini principali riguardano presunte tangenti arrivate dal piccolo emirato sul Golfo per influenzare e determinare a proprio favore la politica dell'europarlamento e rideterminare in positivo l'immagine dello stesso Paese arabo.
Ma oltre al Qatar risultano anche altri Paesi coinvolti. A partire dal Marocco, i cui servizi segreti sono sospettati di aver organizzato un giro di mazzette elargite ad alcuni politici europei. Non viene scartata anche una pista che porta all'Iran, visti gli ottimi rapporti tra Doha e Teheran e il coinvolgimento di almeno un analista politico considerato vicino alla Repubblica Islamica.
Il caso crea scandalo soprattutto per il peso dei nomi coinvolti nell'inchiesta. La polizia belga infatti arresta, tra gli altri, il vice presidente del parlamento europeo, la parlamentare greca Eva Kaili, l'ex eurodeputato italiano Antonio Panzeri (eletto con il Pd e poi passato ad Articolo1, da cui viene sospeso dopo l'arresto), l'assistente Francesco Giorgi, compagno di Kaili.
L'inizio del Qatargate
La prima notizia di una perquisizione negli uffici di Eva Kaili si ha il 9 dicembre 2022. Gli inquirenti mandano gli agenti belgi negli uffici e nell'abitazione del vice presidente del parlamento europeo in cerca di indizi per le proprie indagini. Il giorno dopo si ha la conferma del fermo dell'europarlamentare ellenica.
Oltre a lei vengono arrestati il padre, secondo gli inquirenti pronto alla fuga, e il compagno Francesco Giorgi. Quest'ultimo nella passata legislatura risulta assistente di Antonio Panzeri, anch'egli arrestato. Su di lui si addensano non poche ombre per via del ritrovamento, all'interno della propria abitazione, di almeno 500.000 Euro in contanti.
Valigie e borsoni pieni di soldi vengono trovati anche nella casa di Giorgi e Kaili. Per i magistrati di Bruxelles si tratta della “pistola fumante”. Coinvolti anche Luca Visentini, rilasciato come il padre di Kaili, e Niccolò Figa-Talamanca.
Europarlamentari, diplomatici e assistenti: chi è coinvolto nel Qatargate
Il quadro probatorio per gli inquirenti belgi è tanto semplice quanto drammatico: alcuni eurodeputati sono stati pagati dal Qatar e dal Marocco per orientare le scelte di Bruxelles a favore di questi due Paesi. Secondo i magistrati, il lavoro messo in campo da Doha e Rabat va oltre una semplice attività di lobbying, spingendosi invece verso una vera e propria attività di corruzione.
Antonio Panzeri, eurodeputato fino al 2019, viene visto con sospetto già diversi mesi prima dello scandalo Qatargate. Sotto accusa i suoi viaggi sia in Qatar che in Marocco. In alcune conversazioni, come sottolineato dalla stessa stampa belga, la moglie (anch'essa coinvolta, come la figlia, nell'indagine) fa il nome di Abderrahim Atmoun. Si tratta dell'attuale ambasciatore del Marocco in Polonia, in passato membro del parlamento marocchino e particolarmente attivo a Bruxelles. Qui, sempre secondo i magistrati, nel centro studi del Marocco in Belgio avrebbe allestito una vera e propria base politica di Rabat. Sia la moglie che la figlia di Panzeri citano Atmoun a proposito di regali concessi dall'ambasciatore, in ottimi rapporti con l'ex eurodeputato da diversi anni.
Nel 2018 ad esempio, c'è una foto che li ritrae assieme con una terza figura in quell'immagine: quella di Andrea Cozzolino. Anche lui europarlamentare eletto con il Pd e anche lui, da questa legislatura, ha come consigliere e collaboratore Francesco Giorgi. Per questo, dalle prime notizie sul Qatargate, il suo nome viene costantemente tirato in ballo. Sospeso dal Pd, al momento però Cozzolino non risulta tra gli indagati.
Per quanto riguarda i riferimenti della consorte di Panzeri, i magistrati ipotizzano siano il frutto della corruzione dell'ex deputato. Regali importanti, dell'ordine di migliaia di Euro, consistenti anche in vacanze e soggiorni in alberghi lussuosi, sempre secondo gli investigatori. Un quadro accusatorio ovviamente ancora da dimostrare nelle prossime fasi. Intanto però, la magistratura belga crede di poter chiudere il cerchio attorno a Panzeri investigando, tra le altre cose, anche sui suoi viaggi in Marocco. Almeno uno di questi sarebbe stato pagato dal Dged, il servizio segreto di Rabat. E sempre in uno dei viaggi nel Paese nordafricano, Panzeri avrebbe incontrato il direttore Mansour Yassine. L'ambasciatore Atmoun, in questo contesto, avrebbe fatto da tramite. Mentre ad agganciare Panzeri sarebbe stato invece un altro esponente del Dged, Belharace Mohammed.
Sotto accusa anche i viaggi dell'ex eurodeputato in Qatar. Qui entra in gioco Francesco Giorgi, collaboratore prima di Panzeri e poi di Cozzolino, ma noto anche per essere il compagno di Eva Kaili. Quest'ultima, parlamentare greca eletta tra le fila del Pasok, partito di centro-sinistra ellenico, avrebbe sostenuto diverse cause particolarmente care a Doha in cambio di soldi. Giorgi in questo contesto, secondo gli inquirenti potrebbe aver avuto un ruolo importante nella gestione del denaro elergito in contante. Ad ogni modo, sembrerebbe che i deputati coinvolti non siano gli unici a ritrovarsi dentro un giro di mazzette dal Qatar. Secondo la stampa greca, le indagini in questo momento stanno puntando su almeno sessanta eurodeputati. Tra questi ad esempio anche il belga socialista Marc Tarabella, a cui viene perquisito l'ufficio alcuni giorni dopo l'emersione dello scandalo.
Un lungo lavoro di intelligence
Il nome dato alla vicenda è Qatargate, ma le prime inchieste da Bruxelles vertono sul Marocco. Come descritto da Repubblica il 16 dicembre, i belgi vengono allertati da un servizio segreto europeo circa la presenza di un gruppo di eurodeputati su cui Rabat può contare per estendere la propria influenza politica sulle istituzioni comunitarie. Il servizio segreto in questione, anche se non ci sono conferme ufficiali in tal senso, sarebbe quello spagnolo. Madrid conosce del resto molto bene dinamiche e orientamenti delle forze di sicurezza marocchine.
Nell'informativa trasmessa ai colleghi belgi, si fa riferimento a due nomi. Uno è quello dell'ambasciatore Abderrahim Atmoun, l'altro è invece di Belharace Mohammed. Scatta così, a metà del 2021, l'inchiesta. Belharace si trova già nei database: risulta essere stato fermato all'aeroporto parigino di Orly alcuni mesi prima in possesso di documenti segreti e in quell'occasione ha provato a corrompere un poliziotto.
Ci si mette quindi sulle tracce dei due nomi sospetti. Bruxelles chiede aiuto ai servizi spagnoli, così come a quelli francesi e polacchi. Da Parigi infatti si aspettano maggiori informazioni su Belharace, mentre a Varsavia si chiede di fare luce sull'ambasciatore marocchino Atmoun. I dati raccolti permettono all'inchiesta di andare avanti. Emerge in questo contesto il nome di Panzeri ed escono fuori i suoi possibili rapporti con il Dged. Per questo il Belgio chiama in causa anche i nostri servizi segreti. In un primo momento, l'intelligence italiana non viene citata tra le agenzie di sicurezza che collaborano con i belgi, ma sono fonti degli stessi nostri servizi a smentire e a confermare, al contrario, la partecipazione all'indagine. Con i vari elementi in mano agli inquirenti, scatta quindi tra il 9 e il 10 dicembre il blitz che porta in carcere Panzeri e gli altri coinvolti.
L'operazione non riguarda solo il presunto giro di mazzette dal Marocco, ma anche dal Qatar. Fonti investigative di Bruxelles fanno sapere al quotidiano Le Soir che il filone su Doha nasce dall'informazione di un altro servizio segreto, quello degli Emirati Arabi Uniti. È Abu Dhabi quindi ad avvertire Bruxelles. In questo contesto salta ancora una volta fuori il nome di Panzeri, più volte volato sulle sponde del Golfo. Qui entrano in gioco l'Ong da lui curata, la Fight Impunity, e il suo ex collaboratore Francesco Giorgi. E, di riflesso, la compagna di lui Eva Kaili. Gli incontri in questo caso non sarebbe avvenuti tramite l'intelligence di Doha, ma direttamente con esponenti del governo locale. E, in particolare, con il ministro del Lavoro qatariota Ali Bin Samikh Al Marri. Dall'emirato respingono le accuse e dichiarano di essersi sempre mossi nel rispetto del diritto internazionale.
Quei soldi trovati a casa dei sospettati
A dare una forte accelerazione alle indagini è il ritrovamento, lo scorso 12 luglio, di almeno 700.000 Euro a casa di Panzeri. Lo scrive Repubblica nell'articolo del 16 dicembre. Dopo una prima raccolta di dati, i servizi segreti belgi decidono a luglio di entrare nell'abitazione dell'ex eurodeputato, in quel momento fuori Bruxelles perché in vacanza. E lì trovano quella che considerano la prima vera prova della corruzione.
Mezzo milione di Euro viene invece trovato nel momento dell'arresto di Panzeri. Banconote che, secondo il quotidiano Le Soir, avrebbero numeri di serie belgi. Un grattacapo a livello investigativo: da un lato questa circostanza confermerebbe i sospetti sui pagamenti in contanti, consegnati in borse e borsoni, dall'altro però smentirebbe le ricostruzioni sui soldi presi direttamente in Marocco.
Ad ogni modo, tutto viene messo sotto sequestro e si continua a indagare. Banconote vengono trovate anche a casa di Eva Kaili. Il suo avvocato da Atene respinge ogni accusa e afferma di non sapere la quantità di denaro ritrovata dai poliziotti belgi nell'abitazione della sua assistita. La quale, nel frattempo, pochi giorni dopo l'arresto viene destituita dalla carica di vice presidente del parlamento europeo con un voto quasi unanime e ai sensi dell'articolo 21 del regolamento dell'aula di Strasburgo. Gli occhi sono puntati anche su alcuni bonifici. In particolare, quelli elargiti dal Qatar a favore dell'Ong Fight Impunity fondata da Panzeri.
La pista qatariota, marocchina e iraniana: ecco dove si concentrano i sospetti
Le indagini quindi portano dritte su due specifiche piste: una qatariota e una marocchina. Partendo da quest'ultima, secondo gli inquirenti le fila vengono tirate dagli stessi servizi segreti di Rabat. L'obiettivo è portare diversi eurodeputati a sostenere gli interessi del Regno del Marocco. Viene vista ad esempio con sospetto la votazione, passata con più di 400 voti favorevoli, dell'accordo sulla pesca tra Ue e Marocco nel 2019. Anche Panzeri in quel caso vota Sì a quel documento, bocciato poi dalla Corte Europea due anni più tardi in quanto includeva anche i territori del Sahara Occidentale, rivendicato da Rabat ma sulla cui sovranità ancora oggi ci sono posizioni divergenti.
La pista qatariota porta dritta alla proposta sull'esenzione di visti che consente ai cittadini dell'emirato di viaggiare liberamente in Europa, misura approvata dalla commissione Libe (libertà civili, giustizia e affari interni) il primo dicembre scorso. A partecipare, come sostituta, a quel voto è anche Eva Kaili. La quale esprime il suo parere favorevole, in contraddizione con molti del suo gruppo parlamentare di riferimento, i Socialisti e Democratici. Il voto favorevole è comunque trasversale e coinvolge più partiti. Ovviamente impensabile parlare di Qatar senza menzionare i mondiali di calcio giocati nell'emirato tra novembre e dicembre. Obiettivo di Doha, secondo gli inquirenti, è “ammorbidire” le posizioni della politica europea sul rispetto dei diritti dei lavoratori e dei diritti civili nel Paese.
C'è però anche un terzo binario, quello relativo all'Iran. Francesco Giorgi viene infatti ritenuto molto vicino a Eldar Mamedov. Quest'ultimo è un analista politico presente a Bruxelles in qualità di collaboratore del gruppo Socialisti e Democratici. Ha passaporto lettone ma origini iraniane. Come sottolineato dal Corriere della Sera, nella sede del parlamento europeo viene considerato un lobbista pro Iran. Considerando i buoni rapporti tra Doha e Teheran, c'è chi sostiene l'esistenza anche di una pista direttamente ricollegabile alla Repubblica Islamica.
Il ruolo delle Ong
Importante in questa vicenda il ruolo di almeno due Ong. La prima è quella fondata nel 2019 da Antonio Panzeri, la Fight Impunity. La sua sede è a Bruxelles, in Rue Radical. Viene descritta sul sito come una Ong il cui obiettivo è quello di “promuovere la lotta contro l’impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità avendo il principio di responsabilità come pilastro centrale dell’architettura della giustizia internazionale”. Ha al suo interno membri onorari di un certo peso, come Emma Bonino e l'ex alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini. Ci sono anche i nomi dell'ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve, dell'ex commissario Dimistris Avramopoulos e del premio Nobel per la pace Denis Mukwege. Gli inquirenti però sospettano che Panzeri usi l'Ong per i propri scopi personali e nasconda nei conti dell'organizzazione i proventi della corruzione in Qatar.
L'altra Ong invece si chiama No Peace Without Justice. Il coinvolgimento è testimoniato dall'arresto del suo segretario, Niccolò Figa-Talamanca. Fondata nel 1993 da Emma Bonino, non è chiaro però il suo coinvolgimento nell'inchiesta. Si sa che condivide gli uffici con la Fight Impunity, per il resto i collegamenti con l'Ong di Panzeri si chiudono qui. Intervistata su IlDomani, Emma Bonino dichiara di non essere a conoscenza dei dettagli dell'indagine e di essere completamente estranea ai fatti in questione.
Gli interessi geopolitici in ballo
Il principale interesse del Qatar è legato alla propria immagine alla vigilia del mondiale di calcio. Il più grande evento ospitato in medio oriente già da anni è nell'occhio del ciclone per le notizie sui diritti umani e sui diritti dei lavoratori. Circostanza che fa temere Doha circa un possibile boicottaggio del torneo e un mancato ritorno turistico. Da qui dunque, secondo gli inquirenti, il tentativo di avvicinare, con mazzette e tangenti, gli eurodeputati. Non solo ma, come detto, il Qatar fa pressione per la concessione dell'esenzione dei visti ai propri cittadini. Circostanza percepita dall'emirato come importante e su cui avvia quindi un'attività di lobbying destinata, sempre secondo gli investigatori belgi, a diventare vera e propria opera di corruzione.
Il Marocco ha invece due storici obiettivi politici: la firma di trattati commerciali con l'Ue, come quello sulla pesca del 2019, e il riconoscimento del Sahara Occidentale come regione sotto la propria sovranità. Un obiettivo quest'ultimo ritenuto fondamentale e più abbordabile dopo il riconoscimento, avvenuto nel 2020, degli Stati Uniti alla sovranità marocchina sulla regione.
Rabat spinge da tempo l'Europa affinché appoggi la sua proposta, presentata all'Onu nel 2007, di concessione dell'autonomia al Sahara Occidentale in cambio del riconoscimento della sua sovranità. Per gli investigatori, la volontà marocchina di giungere quanto prima al suo obiettivo determina anche in questo caso un'attività di lobbying sfociata in corruzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.