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I prezzi del greggio non si impennano. Ma sulla benzina già partono i rincari

Il ministro Urso convoca la Commissione d’allerta. L’appello di Trump: "Tenete basse le quotazioni"

I prezzi del greggio non si impennano. Ma sulla benzina già partono i rincari
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I mercati non perdono la calma dopo i raid americani sui siti nucleari in Iran. La giornata di ieri, infatti, è stata contraddistinta da un prezzo del petrolio dapprima in rialzo, poi in deciso calo con la risposta di Teheran sulle basi Usa che per il momento ha sventato ritorsioni più impattanti sull'economia come la chiusura dello Stretto di Hormuz.

Sta di fatto che il Wti dopo la risposta iraniana è calato (fino a -6% a 69 dollari al barile) così come il Brent (-5,8% a 71 dollari). Mentre il gas naturale (40 euro al megawattora al Ttf di Amsterdam) è rimasto sostanzialmente stabile. Al momento, quindi, deve essere senz'altro soddisfatto il presidente americano Donald Trump, che sul suo social Truth ieri ha dichiarato: «Dico a tutti, tenete i prezzi del petrolio bassi. Vi osservo! Non fate il gioco del nemico!». Anche i listini azionari non hanno subito scossoni con Milano che ha chiuso in calo dell'1% (in una seduta dove comunque c'è stato lo stacco dei dividendi) e l'S&P 500, il principale listino americano, dopo metà seduta è virato al rialzo.

La lettura prevalente nelle sale operative è che il mercato non ritenga praticabile una chiusura dello stretto di Hormuz, da dove passa oltre il 30% del petrolio mondiale trasportato via nave. Anche per questo non ci sono state finora vere fiammate sul prezzo al barile, nonostante la crescita che si è registrata nell'ultima settimana cominci a tradursi anche in un aumento dei prezzi alla pompa con la benzina self service in media a 1,74 euro al litro e il gasolio a 1,67, ai massimi da aprile. In autostrada si registrano picchi fino a 2,3 euro al litro per la benzina. Anche per questo il Garante per la sorveglianza dei prezzi del Mimit, su indicazione del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha convocato una Commissione di allerta rapida in materia per mercoledì alle 15.

La situazione non è comunque paragonabile a quanto si è verificato all'apice della crisi russo-ucraina, quando il petrolio era arrivato a 130 dollari al barile, ma certo permane qualche motivo di preoccupazione se non sui mercati, almeno in chi fisicamente trasporta l'oro nero. Secondo Bimco, l'associazione che rappresenta gli armatori globali, il numero di imbarcazioni che navigano nello Stretto di Hormuz sembra essere in calo, a fronte dei crescenti timori di un conflitto in espansione in Medio Oriente. Sta di fatto, però, che l'Iran si arrecherebbe un danno notevole a chiudere lo stretto, cosa che peraltro irriterebbe senz'altro un alleato potente come la Cina che acquista la gran parte delle esportazioni (si dice il 90%) di petrolio iraniano.

Certo è che un prolungarsi del conflitto potrebbe allungare la tendenza ai rincari sul barile con conseguenze dirette sulle economie, tra cui quella europea. Ieri, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, in audizione al Parlamento europeo ha affermato che «senza dubbio» se si materializzasse la chiusura di Hormuz «ci sarebbere conseguenza inflazionistiche».

La banchiera centrale ha poi osservato che «da un punto di vista economico è ovvio che tale conflitto più recente, a causa delle parti coinvolte e della geografia, potrebbe effettivamente creare una situazione in cui una parte significativa del petrolio e del gas che transitano attraverso lo Stretto di Hormuz potrebbe essere compromesso» creando choc di offerta. Per questo, «dobbiamo sperare che le parti possano sedersi di uovo al tavolo negoziare, e auspicabilmente arrivare a un accordo transattivo».

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