
"Non sono l’unico a essere uscito, molti la pensano come me e sono venuti via, ciò non vuol dire che non credo nella missione, anzi vorrei ancora essere a bordo ma ho fatto un passo indietro proprio per non creare tensioni all’interno del gruppo". Il fotoreporter fiorentino Niccolò Celesti ha spiegato al Corriere della Sera di aver lasciato la missione della Global Sumud Flotilla perché non era "più allineato alle idee del comitato direttivo, si erano create troppe divergenze".
"Prima di partire, durante i training a Catania, ci era stato chiaramente detto che l’obiettivo non era quello di entrare nelle acque territoriali di Gaza, che sarebbero palestinesi anche se sono controllate da Israele", ha detto Celesti. Che, poi, ha aggiunto: "Io sono pronto a rischiare l’arresto, le difficoltà e i pericoli, ma non a rischiare la vita senza un’analisi seria delle modalità con cui si arriva a quella capitolazione, senza una reale possibilità di successo per Gaza, e senza una strategia concreta per proteggere la vita dei volontari e delle persone coinvolte in questo progetto".
Il fotoreporter ha poi precisato che "l’obiettivo era smuovere le coscienze del mondo attraverso questa sorta di azione provocatoria e restare in acque internazionali, ovviamente il più vicino possibile a Gaza". In pratica, vi era una "linea rossa" da non superare, ossia la Flottilla non avrebbe dovuto "nelle acque israeliane e nelle acque controllate da Israele perché anche se non riconosciamo la sovranità di Israele in quelle acque, purtroppo in quel mare la legge internazionale non funziona". Celesti, poi, sottolinea di esser giunto a questa decisione dopo aver ascoltato le parole del ministro Crosetto e del presidente Mattarella: "Se il ministero della difesa e il presidente della Repubblica ti dicono di trattare per vie diplomatiche perché non possono garantire la nostra incolumità, non possiamo non dare loro credito, significa che il rischio è reale". E ancora: "C’è il rischio che possa scapparci il morto, la situazione potrebbe sfuggire di mano". Secondo Celesti " le missioni umanitarie vanno fatte anche con un po’ di raziocinio, senza andarsi a cercare il massacro, e con un po’ di disponibilità a trattare diplomaticamente, senza rigidità estrem".
Il giornalista padovano Ivan Grozny Compasso, intervenuto venerdì sera a Propaganda Live, ha spiegato che la Global Sumud Flotilla "non è un partito ma un movimento, attraversato da discussioni e differenze. Se tutti la pensassero allo stesso modo ci sarebbe un capo che comanda. Invece siamo un movimento globale contro gli stermini dei popoli e come ogni movimento siamo imperfetti. Ma è questa imperfezione a renderlo vero". Anche lui ha deciso di scendere e fermarsi e di lasciare la delegazione italiana composta da una 40ina di italiani.
"Ci sono stati sabotaggi che hanno compromesso la sicurezza. Molti li abbiamo taciuti per non diffondere paura, ma se un’imbarcazione non è più in grado di navigare, proseguire significherebbe mettere a rischio la vita delle persone", ha detto.