Dopo quattro mesi di lavori, che hanno portato nel Mar dei Caraibi il più imponente schieramento aeronavale della US Navy del dopo-guerra fredda (e il secondo di sempre, dopo la crisi dei missili cubani del 1962), Donald Trump ha deciso di fare un passo ulteriore nella crisi auto-creata col Venezuela: proclamare un blocco navale. Con questa mossa, che certifica le intenzioni statunitensi - non un'invasione, che a questo punto sarebbe già iniziata, ma massima pressione multifronte -, Trump sancisce l'ingresso della crisi Stati Uniti-Venezuela in una nuova fase. Ora la palla spetta a Nicolas Maduro, che, sempre più all'angolo, dovrà trovare un modo per resistere. O accettare di andarsene.
Blocco navale totale
La sera del 16 dicembre, definendo l'attuale governo venezuelano "un'organizzazione terroristica straniera", che, tra le varie cose, viene accusata di "furto di assetti [statunitensi], terrorismo, contrabbando di droghe e traffico di esseri umani", Trump ha annunciato la trasformazione del cerchio di fuoco costruito nel Mar dei Caraibi meridionali in un blocco navale "totale e completo". Obiettivo: fermare il via vai di "petroliere sanzionate" che "entrano ed escono" nel e dal Venezuela.
L'idea di Trump è chiara: mandare in tilt l'economia venezuelana, che è stata costruita sull'industria petrolifera - l'oro nero costituisce la quasi totalità delle esportazioni venezuelane, rappresentando mediamente sul 15-25% del prodotto interno lordo -, per mezzo di un blocco pensato per impedire a Caracas di commerciare col resto del mondo. In particolare con Iran, Russia, Cina e partner latinoamericani, che del petrolio venezuelano, che comprano per il proprio consumo o per rivenderlo a terzi, sono i maggiori acquirenti.
Ora la palla è tra i piedi di Maduro, che, già testimone nei mesi scorsi dei primi respingimenti effettuati dalla US Navy di petroliere venute dall'estero per caricare oro nero venezuelano, dovrà trovare un modo per dare ossigeno a un'economia già stremata da anni di iper-inflazione, corruzione, mala-gestione delle casse statali e polverizzazione del piccolo commercio e dell'agroindustria. Il rischio, per lui, è di rimanere senza ingressi.
Colpire Caracas per far cadere L'Avana e Managua
Isolando il Venezuela dal resto delle Americhe Latine, perché nei fatti questo blocco (aero)navale è stato realizzato in modo tale da complicare straordinariamente ogni sforzo di aggiramento - si pensi al reclutamento dei vicini caraibici e sudamericani nel contenimento, come Trinidad e Tobago, El Salvador ed Ecuador -, Trump ambisce a mettere Maduro all'angolo.
L'idea di Trump, proveniente dalla sua eminenza grigia per l'Emisfero occidentale, il latino Marco Rubio, è semplice: far cadere Maduro senza toccarlo, dunque attraverso un intervento multisettore di tipo non militare - sanzioni, dazi, blocco navale, taglie e operazioni ibride -, nella speranza-aspettativa di generare un effetto domino. Perché se cade Caracas, L'Avana e Managua potrebbero seguire a ruota, essendo le loro economie dipendenti dall'importazione di oro nero venezuelano a basso costo, talvolta ricevuto nell'ambito di accordi basati sul baratto.
Per ora, Russia, Cina e Iran stanno limitando la loro partecipazione alla crisi al supporto verbale - nel caso cinese e iraniano - e all'invio di qualche e insufficiente carico di armamenti e consulenti - nel caso
russo. Nel mentre, la diplomazia turca e quella russa, via Qatar, è al lavoro per offrire a Maduro una exit strategy in caso di degenerazione del confronto. Si parla di un esilio dorato in Bielorussia. Lo scopriremo a breve.