Agenti segreti non al servizio di sua maestà, semmai a mezzo servizio, come qualsiasi altro dipendente part time. Sono gli 007 del Belgio, nuovamente nell'occhio del ciclone dopo un clamoroso dossier che rivela come avessero avuto parecchie opportunità per smantellare la cellula jihadista responsabile degli attentati di Parigi (2015) e Bruxelles (2016), ma di aver fatto ben poco per fermare i colpevoli della mattanza. Lo si evince dal dossier commissionato dal parlamento belga al «Comite P», un'agenzia investigativa composta da ex poliziotti e funzionari giudiziari. Ampi stralci del carteggio sono stati pubblicati ieri dal Wall Street Journal. Nulla di nuovo sotto il sole rispetto alle ampie critiche piovute nei confronti degli inquirenti ai tempi delle due stragi, oggi però la negligenza e il dilettantismo delle forze di polizia del Belgio emergono con tutti i crismi dell'ufficialità.
Leggendo tra le pagine del rapporto si scopre ad esempio che nel febbraio del 2015 la polizia fermò Brahim Abdeslam, uno dei kamikaze del 13 novembre a Parigi e fratello di Salah, unico arrestato e sopravvissuto del commando. Le manette scattarono ai suoi polsi per possesso di droga, ma all'epoca figurava già nella lista americana dei ricercati per terrorismo e in Belgio avrebbero dovuto saperlo. In un altro documento emerge come ci fossero relazioni e connivenze tra i fratelli Abdeslam e altri sospetti terroristi, complicità maturate nel quartiere jihadista di Molenbeek. Nessuno inoltre si accorse che Salah Abdeslam aveva utilizzato la bandiera dell'Isis come foto profilo di Facebook. Il «Comite P» pone l'accento sulla confusione nelle indagini, sulla negligenza nel verificare suggerimenti e segnalazioni di informatori, e sullo scarso coordinamento tra le varie componenti delle forze dell'ordine. A proposito di confidenti, ben poco venne fatto dopo un'informativa redatta da un'agente dell'antiterrorismo, di origini maghrebine, e sotto copertura, che metteva in guardia i suoi superiori circa il processo di radicalizzazione di Salah e i suoi contatti con Abdelhamid Abaaoud, mente degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. La giovane agente infiltrata scrisse nel suo dossier: «Abaaoud e Salah stanno progettando qualcosa di irreversibile». Ricordando che Abaaud era tornato da poco in Europa «con parecchi miliziani per condurre attacchi in alcune grandi città». Quando lo stesso Salah venne interrogato, nell'agosto del 2015, disse che Abaaoud era una brava persona. Nei dispositivi elettronici che gli sequestrarono (cellulare, pc, 2 sim card e una chiavetta usb) c'erano le prove di un imminente attentato, ma il contenuto venne visionato dopo la strage del Bataclan. Nelle sim card c'erano anche i numeri di Mohammed Abrini, l'uomo con il cappello ricercato dopo gli attentati di Bruxelles, ora in carcere.
Una serie di errori macroscopici che condussero il primo ministro Charles Michel a liquidare il 28 dicembre 2015 il responsabile per la sicurezza nazionale Andre Vandoren e sostituirlo con Paul Van Tigchelt. Avvicendamento che non servì a evitare la strage di tre mesi dopo.
Diventa difficile lavorare quando, come documentato dalla componente socialista all'opposizione, il ministero degli Interni non ha le risorse per finanziare Servizi e polizie nella vigilanza dei sospetti. Al punto che alcuni degli 007 lo sono solo a mezzo servizio: quattro ore per il Belgio, le altre quattro, con mansioni differenti, tra le scartoffie dell'ufficio contravvenzioni.
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