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A 100 anni dalla guerra italiani e austriaci riuniti da pace e vino

Alpini e Schutzen sfilano insieme per le valli dei massacri. Per ritrovarsi abbracciati

A 100 anni dalla guerra italiani e austriaci riuniti da pace e vino

J an Kaiser se ne sta lì, in mezzo alla folla di alpini e di schutzen con le divise d'epoca e di oggi, che sfilano dopo la messa verso le tavolate imbandite. «Zdravì» salute, ripete Jan a quelli che gli battono le spalle. È per merito suo se la fatica e le tragedie che un secolo fa, mentre infuriava la guerra, cambiarono per sempre il volto di questa valle sono riemerse, ingiallite ma immediate, dall'armadio dei ricordi; e se ieri i nipoti e i pronipoti degli uomini che per tre anni si massacrarono su queste cime si ritrovano insieme, affratellati dalle memorie, dalla fede e dal vino.

«Die strasse der 100 tage», la strada dei cento giorni: la chiamano così da sempre, qui. Era un progetto gia cullato alla fine dell'Ottocento, un'arteria che dalla pianura di Treviso sbucasse verso Feltre e Belluno, unendo i commerci di gente dai dialetti diversi. Un primo cantiere era stato aperto e poi abbandonato. Ma poi arrivò la Grande Guerra. E con la guerra il bisnonno di Jan: Frantisek Krusina, giovane ingegnere ceco, suddito fedele dell'Impero d'Austria e Ungheria. Fu lui, con genio spericolato, a progettare e a realizzare in soli cento giorni la strada che da allora si chiama così. Un'impresa quasi folle, cinque gallerie da scavare nella roccia arrampicandosi dai 250 metri di Tovena ai 705 del Passo San Boldo. Nei piani dei generali di Francesco Giuseppe l'impresa aveva un compito cruciale: permettere ai cannoni, ai vettovagliamenti, alle truppe di scendere dal Bellunese verso il Piave, dove sulla sponda orientale l'esercito austroungarico si era fermato dopo la travolgente avanzata seguita a Caporetto. E dove la fame stremava le truppe con l'elmo chiodato. «Il combattente riceve solo 50 grammi di carne al giorno quindi il suo rendimento è del tutto aleatorio», scriveva a maggio l'arciduca Giuseppe, comandante della Sesta Armata installata nel medio-alto Piave. La strada di Krusina serviva a portare nuova linfa alle truppe imperiali per l'ultima offensiva contro le linee italiane sul Piave, poi nulla avrebbe fermato l'avanzata verso Venezia: che da qui, dal passo, nelle giornate limpide è a portata di guardo.

La storia, come è noto, andò diversamente. Ma l''impresa dei cento giorni è rimasta scolpita nella memoria della valle. E ora riemerge nelle foto che Jan Kaiser ha scovato nella cantina del bisnonno a Bílá Tremena, e regalate al Comune di Cison che ne ha fatto una mostra e un libro, nonché il cuore delle celebrazioni di questi giorni, con l'adunata degli Alpini di Vittorio Veneto. Le foto raccontano chi furono i protagonisti dell'impresa: gli ingegneri, gli ufficiali asburgici che appaiono impettiti sui carri e sulle auto; ma soprattutto i prigionieri di guerra, insieme ai pochi uomini non alle armi, e persino le donne, le contadine strappate al lavoro dei campi. I lavori iniziarono col marzo del 1918 ed a giugno erano finiti, a prezzo di turni massacranti dove più dei primi, rudimentali martelli pneumatici a farsi strada erano l'esplosivo, le mazze, i picconi e le mani nude. Le traiettorie elicoidali delle gallerie dovevano permettere il transito dei cannoni. Ma a valle, le truppe imperiali sempre più esauste aspettavano soprattutto cibo.

A Follina, nel grande ospedale da campo austriaco, affluivano senza sosta i feriti delle battaglie sul Piave, che vi morivano a frotte: al suo posto ora c'è il sacrario Austro-Ungarico con le tombe di caduti di quattro nazioni diverse, ultimi martiri di un Impero che stava per dissolversi. Oggi la strada dei cento giorni si arrampica nel cuore del benessere del Nord Est, a nord le terre di Luxottica, a sud le vigne che coprono tutto, e dove olandesi e tedeschi in bicicletta si arrampicano sulle «Prosecco Hills». La strasse nata come strada di guerra, oggi è diventata strada di pace.

(Ma l'impresa del buon Krusina finì con una nemesi: fu attraverso queste gallerie che il 30 ottobre 1918 i fanti della Brigata Mantova misero in fuga le ultime, esauste truppe di Cecco Beppe.

Quattro giorni dopo, la guerra era finita).

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