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I diari della moglie di Bossetti: "Ora ho paura per i miei bimbi"

Ecco la seconda parte del memoriale della donna: "Tremo pensando che a scuola possano chiamarli i figli del mostro"

I diari della moglie di Bossetti: "Ora ho paura per i miei bimbi"

Una detenzione che comincia a somigliare a un «sequestro». Di persona. Massimo Bossetti, langue in cella da 2 mesi, contro di lui una traccia del suo Dna trovato sul cadavere della vittima. Indizio pesante, certo. Per il resto, finora nulla. Almeno ufficialmente. Dunque? Perché non permettergli di affrontare un processo, da presunto colpevole ma uomo libero? Come del resto gia accaduto in tanti casi analoghi.

Attorno al muratore quarantaquattrenne di Mapello, accusato di aver ucciso Yara Gambirasio il 26 novembre 2010, si cerca di far quadrare il cerchio di un'inchiesta che non ha mai davvero convinto. Zeppa di errori, silenzi, piste sbagliate, qualcuna invece forse trascurata o dimenticata. Un'indagine quasi chiusa e all'improvviso riaperta. Fino al coup de théâtre finale. Da quasi 60 giorni la procura di Bergamo, aspetta dal «mostro» sbattuto in prima pagina dal ministro Alfano, una confessione che non arriva. Continua a proclamarsi innocente lui, il «temerario». Così sotto torchio, nella speranza di trovare un fatidico «inciampo» ecco finire la sua famiglia. L'altro ieri 2 ore d'interrogatorio sono toccate alla suocera, Adelina Bolis. Ha 73 anni, vedova, malata. Vive nella stessa casa di Bossetti, al piano terra, lui sopra. «Mi mancano i suoi abbracci, le sue coccole quotidiane. E non è vero che litigasse con mia figlia: erano una coppia serena», ha ripetuto agli investigatori che continuavano a chiederle dei suoi ricordi. Una vita cadenzata, come quella di Massimo. Che tutti i giorni si fermava a tenerle un po' di compagnia. E che la domenica la invitava a pranzo da lui. Sempre. Ieri la pm Letizia Ruggeri avrebbe voluto scovare quei segreti che non si trovano chiamando di nuovo in caserma la moglie di Bossetti. Un buco nell'acqua. Marita Comi avrebbe parlato volentieri, chiedeva solo di avere al fianco l'avvocato, Claudio Salvaggni. Di fronte a un no si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Non è indagata, lei. Ancora una volta, però, si confessa attraverso il settimanale «Gente». Pensa a proteggere i suoi bambini. Sa che a settembre non saranno più Nicolas, Alice e Aurora soltanto, «ma i figli del «mostro». «Da quel momento saranno senza lo schermo familiare che con apprensione abbiamo costruito attorno a loro e che pare reggere», spiega Marita parlando a occhi bassi. «Ora mi sembrano sereni, anche se capisco che certi aggettivi stridono con la nostra situazione..., forse è meglio dire tranquilli. Loro non fanno più domande.

«Se vedono trambusto fuori casa si limitano a chiedere: “Sono venuti per noi“?». Marita, ricorda il giorno dell'arresto del marito: «Quando i carabinieri vennero a casa, alla Piana di Mapello, erano dovunque, sulle scale e nelle stanze: mi sentii come sotto un bombardamento. “È la casa di Bossetti questa? chiese quello che comandava“. Certo, ma è successo qualcosa? “Suo marito è in stato di fermo... conosce la storia di Yara?” Sì che la conosco, ma che c'entra? Dov'è mio marito? Cosa volete dal Massi, io Massimo lo chiamo così, dove l'avete portato? Non capivo più nulla, non sapevo che cosa fare... “La conosce quella storia?- ripeté il carabiniere- il Dna è di suo marito. Adesso si calmi”. Ma io non riuscivo a riprendermi, ero spaventata, piangevo, non sapevo se sedermi o restare in piedi, a chi aggrapparmi. “Dobbiamo perquisire la casa”, dissero. Fatemi chiamare qualcuno, implorai. Telefonai a Fabio, il fratello di Massi. Intanto, visto il trambusto, era arrivato mio fratello Agostino, che abita lì vicino, e mia cognata. Poi ci trasferirono in caserma per gli interrogatori. Eravamo tutti là, anche la famiglia di mio marito. Io, stordita e incredula, pensavo ma non ricordo neppure a che cosa. Il Dna è del Massi, il Dna... Ed è stato lì che mi hanno detto che mio marito non era figlio di Giovanni, mio suocero, ma dell'autista di Ponte Selva, che mia suocera Ester l'aveva avuto da lui, non da Giovanni». Fu in quel momento che Marita rivolse la famosa frase: «Ma come, Ester, non ci hai detto niente? Perché»?

«In realtà, credo di averle detto che se Massimo non era figlio di Giovanni Bossetti ma di Guerinoni sarebbe stato bene ammetterlo subito piuttosto che scoprirlo così. Che altro potevo dirle? Ora mi rendo conto che forse non aveva alcun senso. Se lei giura che non è vero che ha avuto rapporti con Guerinoni, che il Dna dà un risultato sbagliato, cosa avrebbe dovuto dirci prima? Come poteva raccontarci quella che lei ritiene una storia non vera? Non ci ha detto niente perché dal suo punto di vista non c'era niente da dire... A questa cosa ci penso, ma non sono arrivata a una conclusione né a una convinzione. Io non sono una biologa. E se Ester giura che c'è un errore penso che potrebbe essere davvero così». Se mentisse? «Ho sentito dire che è ininfluente, che basterà stabilire se il Dna sulla piccola Yara è di mio marito o no, che il resto non conta, ma io so che non sarà così: tutto sarà sviscerato...

tutte le cose di famiglia saranno passate al setaccio, davanti a tutti».

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