La riforma del versamento Iva nuova tagliola per le imprese

La Legge di Stabilità prevede di far versare l'imposta all'acquirente, ma il meccanismo paralizza grande distribuzione e settore caseario

La riforma del versamento Iva nuova tagliola per le imprese

Roma - Le imprese sono sempre più a secco di liquidi e le scelte del governo rischiano di aggravare la loro situazione, invece di migliorarla. I ritardi nei pagamenti pubblici e privati - ha certificato ieri la Cgia di Mestre - pesano sul fatturato delle aziende per 34 miliardi di euro. Un male antico, quello delle fatture non saldate da committenti statali o da aziende, al quale rischia di aggiungersi il peso delle nuove norme sul pagamento dell'Iva.

Il cosiddetto reverse charge deciso dall'ultima legge di Stabilità prevede che l'Iva sia versata allo Stato direttamente dall'acquirente. Una partita di giro per quei settori che hanno un equilibrio nel tempo tra merci acquistate e quelle vendute. Ma non per tutti. Da qualche giorno arrivano al governo, ad esempio, gli allarmi del settore del latte e da quello della grande distribuzione. In questo caso il reverse charge farebbe aumentare il credito Iva già enorme (si parla di un miliardo di euro) drenando liquidità a un settore che già non se la passa bene. Tra i possibili effetti, difficoltà a pagare i fornitori di latte e un ulteriore spostamento degli acquisti verso il latte estero. Nella stessa situazione la grande distribuzione organizzata, le cui imprese diventeranno ancora di più dipendenti dai rimborsi Iva, quindi da crediti verso lo Stato.

E su questo fronte ancora non c'è da rallegrarsi. In Italia ben 3,4 milioni di imprese, pari al 76 per cento del totale nazionale, soffrono di problemi di liquidità riconducibili al ritardo nei pagamenti, ha calcolato ieri la Cgia di Mestre. I mancati incassi, sia su crediti verso il pubblico sia verso il privato, hanno comportato perdite di 35 miliardi di euro e 1,7 milioni di imprese, il 39 per cento del totale, hanno segnalato che a causa di questa criticità non hanno potuto effettuare assunzioni, mentre 900mila aziende (pari al 20 per cento) hanno valutato la possibilità di licenziare in ragione di problemi conseguenti al ritardo dei pagamenti. Infine, 700mila imprese (pari al 15 per cento del totale nazionale) si trovano sull'orlo del fallimento.

«Le cause di queste criticità - segnala il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi - vanno ricercate nei tempi medi di pagamento effettivi presenti in Italia che intercorrono nelle transazioni commerciali sia tra imprese e Pubblica amministrazione, sia tra imprese private. Nel primo caso, i giorni medi necessari per il saldo fattura sono 165; nel secondo caso, invece, si arriva a 94 giorni». Il primo cattivo pagatore, insomma, ancora una volta è lo Stato. E «in entrambe le situazioni siamo maglia nera quando ci confrontiamo con i nostri principali partner dell'Ue».

È dall'ottobre scorso che il ministero dell'Economia non aggiorna i dati sul rimborso dei debiti della Pa. Segnalano che i debiti pagati dallo Stato e dalle Autonomie locali ammontano a 32,5 miliardi di euro. «Se si considera che nell'ultimo biennio sono stati messi a disposizione circa 56,3 miliardi di euro - spiega la Cgia - l'incidenza dei pagamenti effettuati sul totale è pari al 57,7 per cento.

C'è stato un rallentamento, che ieri il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha spiegato in un'intervista al Sole24ore .

«Il problema è legato ai crediti per la spesa in conto capitale, dove dobbiamo tener conto dell'impatto sul deficit. Eppoi con alcune ragioni continuano ad esserci problemi. Si stanno comunque sbloccando nuove tranche». In sostanza, non si pagano i debiti per non incidere sul deficit e sforare i limiti europei.

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