Lo scrittore Andrea Tarabbia si è occupato a lungo di Russia e di male, quello estremo: si è immerso nella vita di Andrej Cikatilo, il mostro di Rostov (Il giardino delle mosche), nella mente di un terrorista (Il demone a Beslan) e, infine, nel lato più nero della letteratura russa (Racconti di demoni russi).
Andrea Tarabbia, il male è esploso sotto i nostri occhi?
«Non voglio essere frainteso, ma penso che quello che Putin sta facendo a Mariupol, o a Kharkiv, o a Irpin, sia identico a ciò che ha fatto per anni in Cecenia e, indirettamente, in Siria. C'è una continuità di azione e di modalità».
Non c'è da stupirsi.
«Ci stupiamo perché abbiamo messo la testa sotto la sabbia per 25 anni... Ora questa distruzione ce l'ha portata in casa e messa davanti agli occhi».
Niente è cambiato?
«Lui non è cambiato. Siamo cambiati noi, perché la cosa ci tocca: ci siamo resi conto di essere parte della storia e non degli osservatori esterni a essa».
È un passo ulteriore?
«Il salto, che spero sia il suo errore, è trattare le democrazie occidentali allo stesso modo dei Paesi che ha bombardato negli ultimi 25 anni, con la stessa visione paranoica, totalitaria e di imperialismo tout court».
Per noi è sconvolgente.
«Per decenni l'Occidente ha ignorato i Paesi dell'ex blocco sovietico, sottovalutando il fermento politico e sociale che li attraversava. In Russia mi sentivo dire che noi, occidentali ed europei, ormai siamo deboli e incapaci di leggere davvero il fatto fondamentale degli ultimi anni: che l'epicentro del mondo si è spostato altrove».
Risultato?
«È come se non avessimo ragionato su quello che è successo dopo il '91 nell'altra parte del mondo. Ma loro sono trent'anni che vivono lì, con i loro arsenali, la loro retorica militaristica e una logica per cui l'Ucraina ci appartiene, la Crimea è nostra... Tutto questo, dal punto di vista del romanziere, è anche affascinante: Putin è un personaggio del '900 che agisce con 22 anni di ritardo».
Che personaggio è?
«L'incarnazione dell'uomo di potere che non guarda in faccia a nessuno e arriva a uccidere, se è per ottenere quello che sostiene essere l'interesse nazionale - che spesso, in letteratura, è tradotto come ossessione personale... È la reincarnazione del tiranno, con le bombe nucleari e il fisico in decadenza, che non si fa avvicinare da nessuno».
Una figura già vista...
«È la forza nera del folle e dell'aggressore, di quello che fa ciò che altri hanno già fatto prima di lui ma che, comunque, nessuno riesce a fermare. E questo fa paura: nonostante tutto, quando questo tipo umano si ripropone, con il suo carisma nero, ancora fa danni e trova chi gli crede. E succede in Europa, che è stata rasa al suolo 70 anni fa...»
Come lo interpreta?
«La vera incarnazione del male per me è questa. Un male che ha sempre bisogno di qualcuno dall'altra parte che creda in lui, e lo sottovaluti. Stiamo lì a guardare fino a che fa quel che vuole, e poi tentiamo di metterci le toppe. L'altro lato della medaglia è la reazione a livello di istituzioni culturali, che mi sembra la più stupida possibile».
I «bandi» agli artisti russi? Non è surreale?
«È vero, fare tabula rasa del Paese da dove viene il cattivo è surreale, e non fa parte della nostra storia, o della nostra retorica sulla libertà di espressione».
Ma...?
«Ma rientra nel nostro non aver capito nulla di quel
mondo lì. Dovremmo sostenere chi ha coltivato il dissenso. Questa reazione è un segno di impoverimento culturale, quello che arriva a non farci capire la complessità del mondo e nemmeno ciò che avviene ai nostri confini».
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