"Abbiamo sentito il botto, sono esplosi gli airbag L'urlo: Pietro fermati. Poi si è spento il motore"

Sarebbero queste le parole dette ai vigili urbani dai due amici dell'investitore

"Abbiamo sentito il botto, sono esplosi gli airbag L'urlo: Pietro fermati. Poi si è spento il motore"

Roma «Abbiamo sentito un gran botto, sono esplosi gli air bag e l'auto continuava la corsa. Abbiamo detto a Pietro di fermarsi. In quell'istante si è spento il motore. Siamo scesi e siamo tornati indietro a piedi». Sarebbero queste le prime dichiarazioni dei supertestimoni in auto con Pietro Genovese. Davide Acampora e Tommaso Edoardo Destroje Fornari Luswergh sono i primi ad essere ascoltati dagli agenti della polizia di Roma Capitale intervenuti sabato notte su corso Francia. Presi a sommaria informazione, le loro parole adesso sono sul tavolo del pm. Un'informativa allegata al resto delle indagini svolte dal gruppo Parioli sul drammatico incidente costato la vita a Camilla Romagnoli e Gaia von Freymann, entrambe sedicenni.

Inizialmente restii a raccontare, probabilmente sotto choc dopo l'impatto, le parole dei due ragazzi sono fondamentali per capire perché Pietro si trovasse sulla rampa di accesso alla Tangenziale Est, l'Olimpica, in direzione piazzale Clodio anziché sulla strada principale, verso i Parioli. Pietro, del resto, stava accompagnando a casa gli amici, uno al quartiere Coppedè, l'altro in zona piazza Fiume, sempre al Salario-Nomentano. Corso Francia, viale Parioli, viale Liegi e infine viale Regina Margherita: è questo il percorso che Genovese avrebbe dovuto fare per concludere la serata. Che ci faceva, invece, con il crossover bloccato verso Prati? Domanda cui dovrà dare una risposta nell'interrogatorio di garanzia deciso per il 2 gennaio.

Questo è solo uno degli aspetti da chiarire sul dramma di Camilla e Gaia. Pietro aveva bevuto, questo è certo. Vino, come ricordano gli amici, Acampora in particolare. «Solo un paio di bicchieri» dice. Anche i «pizzardoni» annotano sul verbale che il conducente aveva un alito fortemente vinoso. È il primo elemento di responsabilità visto che il giovane non avrebbe dovuto bere affatto. Il gip attende ora i risultati approfonditi sull'assunzione di sostanze stupefacenti, elementi che, assieme all'alta velocità, aggraverebbero la sua posizione. Genovese risulta non negativo a cannabis e cocaina. Ma quando le aveva assunte? Sempre gli amici giurano che il figlio del regista Paolo Genovese quella sera non si era fatto nemmeno uno spinello. Quella sera. La cannabis, difatti, rimane nelle urine dai sette ai 30 giorni, nei capelli per 90 e nel sangue per 14 giorni. La cocaina dai tre ai quattro giorni, nei capelli per 90 e nel sangue per un massimo di due giorni. L'Mdma resta nelle urine tre, quattro giorni, nei capelli per 90 e nel sangue un paio di giorni. Quindi se Pietro si fosse fatto di coca il giorno prima o la sera stessa lo potranno dimostrare con certezza solo i test tossicologici. Stessa storia sulle droghe sintetiche. Sulle canne di «erba» o di hashish, invece, il calcolo non potrà essere altrettanto preciso. Certo è che Pietro, nonostante le quattro sospensioni della patente per aver guidato in stato di ebrezza e sotto l'effetto di droga, continuava a portare il grosso e potente Suv. E ad andare veloce.

Si attendono anche i risultati dei test eseguiti sui corpi delle 16enni travolte da Genovese.

Correvano per tornare più in fretta possibile a casa nonostante le auto che sopraggiungevano col semaforo verde? Su questo non ci sarebbero dubbi anche se molti ragazzi della zona parlano di sfide folli da filmare e «raccontare» sui social. Gaia e Camilla, che erano state in un locale della movida romana, avevano bevuto anche loro? SVla

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