Un tassello dopo l'altro, il puzzle del grande negoziato sulla denuclearizzazione in Corea si va componendo. L'«incontro del treno» appena avvenuto a Pechino tra Kim Jong-un e il suo alleato cinese Xi Jinping ha messo le basi per le tappe successive, che vedranno il leader di Pyongyang incontrare in sequenza i capi delle potenze che si oppongono allo sviluppo minaccioso del suo arsenale atomico: prima il presidente sudcoreano Moon Jae-in (aprile), poi quello degli Stati Uniti Donald Trump (maggio) e infine il premier giapponese Shinzo Abe (giugno).
Una primavera diplomatica che cambierà la storia delle relazioni internazionali in Estremo Oriente e che vedrà protagonista al tavolo dei colloqui quel presidente americano che in una prima fase aveva privilegiato, per reagire alle pesanti provocazioni di Kim, il registro delle minacce facendo temere che una situazione già di suo pericolosa potesse sfuggire di mano scatenando un conflitto. Cos'abbia spinto il capo del regime nordcoreano, abituato a terrorizzare i suoi vicini a colpi di missili e a usare una retorica incendiaria, a trasformarsi in un partner negoziale apparentemente ragionevole è oggetto di attente analisi da parte degli specialisti di geostrategia. Le scuole di pensiero sono diverse, ma come spesso accade c'è un po' di vero in ognuna e la corretta interpretazione dei fatti sta probabilmente in un mix di elementi pescati da entrambe.
Un primo filone sostiene che Kim sia stato costretto ad abbassare orecchie e toni dalla decisa iniziativa di Donald Trump, mentre un secondo tende ad attribuire al «Giovane generale» di Pyongyang una visione strategica più fine di quel che si immaginasse in Occidente, e che prevedeva di alzare la tensione con gli americani e i loro alleati fino al massimo livello sostenibile per poi ottenere da loro il più possibile in un negoziato gestito da posizioni di forza. Sembra difficile per chiunque sottovalutare il peso che hanno avuto nel formare le decisioni del leader nordcoreano le sanzioni contro il suo Paese fortemente volute da Trump, ma diversi analisti sottolineano l'abilità con cui Kim sta giocando con mediocri carte in mano una partita a poker che ha in palio la sopravvivenza del suo regime.
Quanto alle prossime tappe, nell'incontro con Moon del 27 aprile Kim punterà ad allargare il fossato che divide Seul (la cui leadership è orientata al compromesso col vicino del Nord) da Washington; in quello previsto per fine maggio con Trump verrà giocata la vera partita per evitare una guerra che nessuno vuole ma che potrebbe diventare inevitabile: qui la carta più ambiziosa che Kim giocherà sarà quella di appoggiarsi al gioco di Xi che punta nel lungo termine al ritiro delle forze Usa dall'Estremo Oriente, mentre Trump pretenderà la denuclearizzazione di Pyongyang in cambio di garanzie sulla sopravvivenza del regime; infine l'incontro fissato in
corsa per giugno tra Kim e Abe (che seguirà quello tra Abe e Trump in maggio) si spiega con la paura di Tokio che il presidente americano punti a ottenere garanzie certe di sicurezza per gli Usa «dimenticandosi» del Giappone.
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