Cronache

Addio golpe, i militari possono fare politica

Il Tar: è un diritto avere incarichi di partito. Finisce l'Italia dei "colonnelli" di Tognazzi

Addio golpe, i militari possono fare politica

Viva la democrazia. Il maresciallo Carmelo Cataldi ha vinto il braccio di ferro con l'Arma: la divisa non è e non può essere un ostacolo alla carriera politica. Nessuna incompatibilità. Il Tar del Piemonte ha dato ragione al sottufficiale di Fossano, oggi in congedo, che si era iscritto ad una formazione peraltro sconosciuta al grande pubblico, il Partito per gli operatori della sicurezza e della difesa, e ne era diventato segretario regionale. L'Arma, fedele ai vecchi dogmi, l'aveva presa male e lui si era preso una sanzione, cinque giorni di consegna di rigore, che la diceva lunga sul disagio percepibile in una delle istituzioni più amate dagli italiani. La catena gerarchica non perdonava al militare di aver fatto di testa sua e di aver scelto una strada particolare, ritenuta evidentemente non consona agli standard ecumenici dei Carabinieri.

Ma i tempi cambiano, le barriere saltano, l'asticella del politically correct si sposta di continuo e anche dentro le caserme automatismi collaudati non funzionano più. O almeno così la pensa il Tar: certi divieti, che profumano di silenzio e obbedienza, appaiono oggi fuori luogo. O più banalmente sproporzionati.

Negli anni Settanta la coppia Monicelli-Tognazzi metteva alla berlina le tentazioni golpiste che covavano ai piani alti del mondo militare tricolore, fin dai tempi del piano Solo, ideato dal generale Giovanni De Lorenzo. «Vogliamo i colonnelli» è una pellicola meravigliosa, ma il film ci parla, per fortuna, di un'epoca che non c'è più, anche perché è finito il bipolarismo, è crollato il Muro e antiche, feroci appartenenze sopravvivono solo nelle nicchie dell'ideologia.

E però, senza voler mettere in discussioni le dotte analisi dei magistrati amministrativi, e senza voler invertire il senso di marcia della storia, qualche considerazione si impone. Sarà bellissimo poter entrare in Parlamento o in Comune direttamente dal portone della caserma ma il consigliere di opposizione, magari in uno dei mille borghi che costituiscono l'ossatura dell'Italia, non sarà affatto contento di trovarsi come avversario il maresciallo della locale stazione dell'Arma. La divisa avrà pure perso quel tocco di sacralità che aveva un tempo, ma resta o dovrebbe rimanere una garanzia, anzi un baluardo per tutti. Il primato della legge, del diritto, del bene che non si arrende mai. Se sotto l'uniforme spunta la casacca, di qualunque colore, ecco che subito scatta il retropensiero: quel signore che tuona dai banchi del Consiglio comunale può anche venire in casa per una perquisizione o, peggio, con le manette. Tutto può essere ma certi equilibri si trasformano fatalmente in equilibrismi che non durano. E possono lasciare una scia di rancori, sospetti, dubbi che affollano la mente e non se ne vogliono più andare.

Il Tar la pensa diversamente e non vuole comprimere i diritti del cittadino, sia pure in alta uniforme. Forse, nell'altalena delle aspettative e delle percezioni generali, siamo in un momento storico che privilegia il solista rispetto al coro che gli sta intorno. E poi i colonnelli cattivi sono solo nei libri perfino in Grecia dove oggi comanda la sinistra più sinistra di Tsipras.

Ma alla divisa, come del resto alla tonaca e alla toga, si richiede un supplemento di vigilanza e sensibilità perché certe vocazioni o sono rivolte a tutti o non hanno ragione di essere. E la stessa magistratura dibatte e si divide su questo tema delicatissimo, al confine pericoloso fra il colore dello Stato e quello della passione personale. La prudenza, che impone il sacrificio, non guasta.

E un pizzico in più può dare sapore ad una democrazia sempre più insipida.

Commenti