Aggressivo, cinico e doppiogiochista. Il Sultano non può restare nella Nato

Insulta gli alleati, scatena "guerre sante", provoca i Paesi vicini occupa spazi non suoi: ora è un dittatore e come tale va trattato

Aggressivo, cinico e doppiogiochista. Il Sultano non può restare nella Nato

«Fascisti!», «Nazisti!», «Persecutori di musulmani!». L'improvviso torrente di invettive lanciato dal presidente turco Ergodan in primo luogo contro Macron, ma anche contro Angela Merkel e altri leader europei riporterà inevitabilmente di attualità un tema esplosivo, che le stesse cancellerie dei Paesi della Nato hanno finora esitato ad affrontare. La domanda che scotta è se conviene mantenere la Turchia nell'Alleanza nonostante la politica imperiale e aggressiva di Erdogan, che ormai va quasi sempre contro gli interessi degli altri Stati membri. Fino adesso è prevalsa la prima tesi, ma le vicende degli ultimi giorni, inserendosi in un quadro complessivo che vede una insofferenza sempre più diffusa verso una politica turca che investe ormai Mediterraneo, Medio Oriente, Africa, Caucaso non potranno non influire sulla situazione. Fino a ieri i Paesi più direttamente coinvolti erano la Grecia e Cipro, con cui esistono antichi contenziosi, ma gli anatemi lanciati da Erdogan contro tutta l'Europa, dalla Francia «colpevole» di continuare a difendere la pubblicazione delle vignette contro Maometto alla Germania dove vivono cinque milioni di turchi hanno creato uno scenario nuovo. Cresce anche il coinvolgimento dell'Italia, che si è già fatta sottrarre dai turchi la posizione privilegiata che aveva in Tripolitania e vede ora minacciati i suoi diritti alle risorse di idrocarburi del Mediterraneo orientale. L'atteggiamento degli Stati Uniti rimane invece ondivago. Nella confusione che regna attualmente al Dipartimento di Stato c'è chi ritiene ancora Erdogan un alleato utile contro le mire espansionistiche della Russia, chi invece teme che alla fine le due potenze troveranno un accordo che si ritorcerebbe contro l'America. Al di fuori della Nato c'è poi il Vaticano, dove hanno preso assai male la trasformazione di Santa Sofia in moschea e l'aperto sostegno di Ankara all'aggressione azera al Nagorno Karabak, che puzza tanto di tentato genocidio della popolazione cristiana.

I mutamenti della politica turca da quando Erdogan ha assunto i pieni poteri (praticamente a vita) sono stupefacenti, come se il Paese avesse cambiato pelle: i politologi discutono se definirla neo-ottomana o post imperiale, ma la realtà è più complessa. Decisiva, non solo sul piano interno, ma anche in proiezione esterna, è la trasformazione da Stato laico in stato di stretta (anche se talvolta strumentale) osservanza musulmana. Il sultano vuole presentarsi al mondo islamico come l'autentico difensore della fede, ma nello stesso tempo vuole ritagliarsi anche un ruolo decisivo nelle dispute regionali, senza peraltro trascurare le relazioni più a lungo raggio: per esempio, pur atteggiandosi a protettore delle popolazioni musulmane perseguitate, non ha mai proferito parola in difesa degli Uiguri per non irritare la Cina

L'attivismo della Turchia sulla scena internazionale è decisamente superiore al suo peso economico. Con una popolazione di 85 milioni di abitanti, il suo Pil è un terzo di quello italiano e la sua economia, dopo un periodo di splendore dovuto agli investimenti stranieri, fa oggi acqua da tutte le parti. Ma per gli obbiettivi di Erdogan, come la penetrazione in Africa, i mezzi si trovano sempre. Basti dire che le ambasciate turche sono passate da 14 a 41 e l'interscambio con l'Africa supera i 200 miliardi di dollari annui. Per marcare la sua presenza, che spesso assume tratti antioccidentali, Ankara ha costruito a Mogadiscio una base da 50 milioni di dollari.

Cosa sarebbe accaduto se le trattative con il primo Erdogan, allora democratico e filoeuropeo, per l'ingresso

della Turchia all'Ue fossero andate a buon fine? Avremmo un personaggio dominante in casa, con alle spalle il Paese più popoloso (e al 99% musulmano) della Ue. Forse Sarkozy, che mandò tutto all'aria, non aveva tutti i torti.

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