Ago, filo e poesia. Il rosso Valentino è pura arte. E adesso fa politica

La collezione capolavoro di Pierpaolo Piccioli: "Per compiersi, la moda ha bisogno di corpi. C'è di peggio che usare il fashion per l'impegno: non usarlo"

Ago, filo e poesia. Il rosso Valentino è pura arte. E adesso fa politica

La moda è arte? Pierpaolo Piccioli risponde no con una collezione-capolavoro che toglie letteralmente il fiato per bellezza, innovazione e creatività. Si chiama Valentino Des Atelier e sfila alle Gaggiandre dell'Arsenale, la gigantesca fabbrica in cui nel '500 venivano costruite le navi da guerra della Repubblica di Venezia. Siamo nel più grande sito produttivo del mondo costruito prima della Rivoluzione Industriale e non è un caso che questo luogo magico ospiti tanto il Padiglione Italia della Biennale, quanto le meraviglie pazientemente create con il durissimo lavoro d'ago, filo e poesia. «La moda si deve sempre relativizzare con un corpo mentre l'arte basta a se stessa» continua Piccioli aggiungendo però che in entrambi i casi si racconta un momento storico. Da qui l'idea di organizzare con l'aiuto del critico d'arte Gianluigi Ricuperati una specie di Factory stile Andy Warhol per costruire alcuni dei modelli (22 su 82) nel dialogo serrato con 17 artisti contemporanei.

«Li ho scelti d'istinto confessa il couturier cercando punti di contatto tra me, la mistica dell'alta moda di Valentino, le opere e il percorso umano di chi le ha fatte». Il risultato è travolgente. C'è per esempio un abito da ballo nato dal confronto con Alessandro Teoldi, un italiano che vive a New York e in questi drammatici mesi di solitudine e distanziamento sociale ha essenzialmente dipinto intrecci di corpi e di mani che si allacciano. Pierpaolo ha riprodotto dettagli delle sue opere su stoffe diverse in tutti i rossi che si possono trovare nell'archivio di Valentino. Una volta ritagliati e intarsiati tra loro, questi abbracci diventano un vestito di commovente bellezza. Non meno emozionante l'abito dritto con cappa dalle maniche a jambon in taffettas color avorio attraversato dalle sinuose pennellate rosso sangue di James Nares, un uomo altissimo che ha sempre dipinto con il corpo e che a 68 anni suonati ha deciso di affrontare il difficile percorso della transizione sessuale. Pierpaolo come molti suoi giovani colleghi pensa che peggio del far politica con la moda ci sia soltanto il non farla. Affronta quindi il tema dell'upcycling che generalmente sta all'alta moda come i cavoli stanno alle merende con le raffinate citazioni delle opere di Joel Allen, un artista che lavora con fili, fibre sintetiche e scarti industriali. Il tutto senza tradire la mistica dell'atelier per cui alla fine non riesci a capire se i fili sono preziose piume di marabù e i tubicini di plexiglass presi dall'involucro esterno delle pailette sono gigantesche canottiglie di cristallo. Molte modelle e alcuni modelli indossano strepitosi cappelli a larghe tese con lo stesso lussureggiante piumaggio, ma non è dato sapere di cosa si tratti: c'è talmente tanta bellezza nei colori e nelle forme che per una volta non fai quasi caso ai materiali.

È invece fondamentale capire che per trasformare un corpo in una specie di trompe l'oeil del dipinto di Andrea Respino ci vogliono più di 150 diversi tipi di tessuto. In un abito di robe manteau bianco sono invece ricamati magistralmente i tratti rabbiosi di Benni Bosetto, un'artista che lotta contro la violenza sulle donne. Anche qui la poetica del fare diventa politica, quella che lascia parlare l'anima prima del misero tornaconto personale.

Anche i capi dettati dalla sola creatività di Piccioli sono belli oltre ogni dire con tagli di precisione chirurgica e colori d'inimmaginabile poesia. Il dress code per assistere alla sfilata era bianco come la tela di un pittore ma anche come il camice di chi lavora in atelier. Per una sera a Venezia l'alta moda e l'arte regalano il sogno di un mondo migliore.

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