Caro direttore,
sono una lettrice del vostro Giornale e sono sicura che siete sommersi da lettere di ogni genere. Perché le scrivo, allora? Non per fare numero, non per vanità, ma per raccontarvi la grande difficoltà di fare impresa in Italia e in Sardegna, la mia regione. Mio marito è l'amministratore, socio con i miei genitori, di un'azienda qualificata per lavori e manutenzioni di linee elettriche. È un'impresa familiare con 11 dipendenti. Io sono una degli undici. Dal 2013 siamo in subappalto con un consorzio sardo che esegue lavori dell'Enel.
Questo Paese è vittima di un paradosso senza via d'uscita. Tutto quello che è vietato per legge al privato è invece permesso al pubblico, e cioè allo Stato. Quindi è lo Stato stesso che per primo viola le sue leggi. Una ditta privata se non paga i contributi dei suoi dipendenti finisce nelle mani di Equitalia ed è costretta a pagare. Questo se ci riesci, se hai soldi, se trovi funzionari comprensivi, se puoi rateizzare. Non sempre, con tutta la tua buona volontà, ti viene concesso di pagare un po' alla volta. Alla nostra azienda, per esempio, è stato risposto no, non si può, perché, nonostante contratto di appalto, credito Iva e altre questioni burocratiche, il nostro consulente non ha depositato in tempo il bilancio e manca la documentazione da allegare.
L'ente pubblico non ha di questi problemi. Paga quando vuole, se paga. Chi controlla allora i controllori? Mi piacerebbe sapere quanti Enti statali o parastatali sono in regola con i propri pagamenti. Noi imprese, se andiamo in perdita, dobbiamo chiudere, lo dice la legge. Sei un fallito. Più sei piccolo più ti mettono (...)
(...) in croce. È assurdo, ma ci sono leggi che non permettono a chi è onesto di andare avanti. Se non fai il furbo sei morto, ti tolgono l'aria, non ti lasciano via d'uscita. Sembra quasi che ci sia una volontà sadica a far dannare chi rischia in prima persona. Vuoi aprire un negozio, un'impresa? La legge farà di tutto per rendere questa scelta una discesa all'inferno. Come a dire: chi ti credi di essere che ti metti a fare il piccolo imprenditore? Devi crepare.
E poi, naturalmente, si lamentano dell'evasione. Noi abbiamo dichiarato tutto, ogni virgola, ma per lo Stato dobbiamo guadagnare quanto stabilito dagli studi di settore. Se non è così sei colpevole e non importa se alla base di tutto c'è la mancanza di credito da parte delle banche e la difficoltà economica, mista a una drammatica crisi di liquidità. Se avessimo ricevuto l'anticipo delle fatture, avremmo circa 180mila euro (i crediti che dobbiamo ancora ricevere) da utilizzare per continuare la rateizzazione in corso, con scadenza ottobre 2016. Avremmo saldato senza far decadere le rate Inps, pagato gli stipendi regolarmente e un bilancio sano. Ora, invece, ci ritroviamo con il Durc irregolare, con Equitalia che dovrà decidere se concedere la rateizzazione, il Consorzio che ci revocherà l'appalto se non regolarizziamo la posizione Inps entro «15 giorni». La documentazione da allegare a Equitalia non è ancora pronta, perché il bilancio non è ancora depositato e manca la situazione della contabilità a maggio 2015 non ancora caricata, perché il consulente non l'ha fatto. Aveva altre scadenze, anche lui vittima della burocrazia.
È un effetto domino che porta al fallimento, e anche peggio. È un circolo vizioso che, sinceramente, non so come gestire. C'è chi si è tolto la vita, annegando in queste maledette sabbie mobili di Stato. Che fare? Non resta che mettere in liquidazione la società e mandare all'aria tutto, perché a fine mese verranno bloccati i pagamenti. Falliremo? Forse sì, ma, onestamente, se avessimo falsato i bilanci, come fanno altri, sicuramente no.
Una cosa ho imparato: che di onestà non si vive. Tutto quello fatto in questi anni, con la speranza che un domani poteva andare meglio, non è servito a nulla. Dicono: è la crisi. Solo che la crisi non è uguale per tutti. I «capi» dei consorzi stanno guadagnando a scapito dei piccoli. Certo, per loro le percentuali di lavoro sono sempre al di sopra del 100% mensile, noi, invece, strutturati come da qualificazione, usati come pedine per i lavori in subappalto, senza possibilità di obiezione - se parli sei fuori -, siamo i primi a cadere. I lavori concessi con il contagocce, sottopagati, con le trattenute per due anni del 5 per cento e ora al 4%, e altri costi aggiuntivi, mascherati con artifici tramite fatture da pagare al consorzio principale.
Mio marito sta entrando in depressione, mi faccio forza per nostro figlio, 12 anni. Viviamo in questa bella isola che tutti ci invidiano per le vacanze e noi che ci viviamo non possiamo permetterci neppure una vacanza, tutto quello che avevamo lo abbiamo messo nell'impresa per pagare gli operai.
Siamo stati folli a credere in questo lavoro. La verità è che oggi chi apre una partita Iva non è sano di mente. Lo Stato ci odia e non si fida di noi. Scusi lo sfogo, ma è la rabbia di una donna disperata, delusa e amareggiata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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