da Roma
Una ventina di minuti di Consiglio dei ministri e una rapidissima illustrazione del provvedimento da parte del sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano. Tanto è bastato per approvare un decreto Ucraina sul quale si è disquisito e polemizzato per settimane, fino a giocare sulla singola limatura lessicale (usare o no il termine aiuti "militari").
Tanto è andato avanti il tira e molla che a inizio dicembre il provvedimento è persino prima entrato e poi uscito dall'ordine del giorno di un Consiglio dei ministri, paralizzato dalle perplessità di una Lega che non ha mai visto di buon grado gli aiuti militari inviati a Kiev. Tutto fermo per quasi un mese, dunque. Con tanto di chiarimento telefonico natalizio tra la premier Giorgia Meloni e il vicepremier leghista Matteo Salvini. Decisivo, se nel Consiglio dei ministri lampo che chiude il 2025 - assenti sia Salvini che il ministro della Difesa Guido Crosetto - il via libera arriva in un baleno.
Nella sostanza, il decreto non cambia rispetto al primo provvedimento per sostenere l'Ucraina approvato nel febbraio 2022 dal governo guidato da Mario Draghi. La questione, insomma, è soprattutto di forma. Perché nel decreto approvato ieri che proroga a tutto il 2026 gli aiuti a Kiev si è sì scelto di esplicitare in maniera più netta il concetto di aiuti civili ma confermando comunque anche quelli militari.
Il tira e molla, lo si era capito da giorni, è lessicale. La Lega, infatti, avrebbe voluto eliminare dal testo l'aggettivo "militare". E poco prima che inizi il Consiglio dei ministri il senatore Claudio Borghi già canta vittoria: "Un lavoro eccellente. Massimo compromesso ottenibile stanti i rapporti di forza. Bravissimo Salvini, questo è fare politica". Passano pochi minuti, però, e arriva la convocazione ufficiale della riunione di governo. E il titolo dello "schema di decreto legge" è inequivocabile: "Disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina". Insomma, rientra l'aggettivo "militare". O, più probabilmente, non era mai uscito. Certamente è così per il testo del provvedimento, perché sul punto il ministero della Difesa ha sempre avuto una posizione netta: va bene il maquillage lessicale, ma il testo deve consentire la stessa libertà di azione dei precedenti decreti. Insomma, spiega un ministro, "se si andrà come tutti sperano verso una tregua ci concentreremo sugli aiuti civili" ma "se ci fosse la necessità di inviare aiuti militari a scopo difensivo non ci sottrarremo". D'altra parte, nel dodicesimo pacchetto di aiuti all'Ucraina approvato a dicembre i rifornimenti di materiali bellici ammontavano a circa il 60% del totale contro un 40% circa di aiuti cosiddetti civili (dal materiale sanitario ai generatori elettrici). Un punto su cui potrebbe insistere Crosetto in sede di replica quando, giovedì 15 gennaio, il ministro della Difesa sarà alla Camera per le comunicazioni. Soprattutto se il clima nella maggioranza dovesse accendersi. Circostanza, quest'ultima, che appare piuttosto improbabile. A parte il vice-segretario leghista Roberto Vannacci (che parla di un decreto che "garantisce morte e guerra" e invita il Parlamento a "non votarlo"), la Lega non sembra affatto sulle barricate. I ministri del Carroccio presenti ieri alla riunione di Palazzo Chigi hanno infatti votato il decreto, mentre fonti ufficiali della Lega fanno filtrare "soddisfazione" perché "i suggerimenti sono stati recepiti e si è data priorità agli strumenti difensivi, logistici e sanitari per aiutare la popolazione civile ucraina, piuttosto che ad altro".
Un Consiglio dei ministri lampo nel quale non viene invece affrontato il
tema della data in cui tenere il referendum sulla separazione delle carriere. Se ne riparlerà nel prossima riunione di governo, presumibilmente prima del 10 gennaio. E le date più gettonate restano quelle del 22 e 23 marzo.