Ludovica Bulian
Tiziana Paolocci
Il binomio scarcerazione massacro sfugge alla dinamica razionale che regola quello di causa ed effetto. Ma se il giudice che ha liberato Mario Castagnacci non poteva immaginare l'orrore che di lì a poche ore dopo il ventisettenne cuoco di Alatri avrebbe compiuto su Emanuele Morganti, la vicenda ha insinuato un dubbio lacerante. Che in queste ore sconfina nella banale evidenza: «Se fossero stati applicati canoni più rigorosi» in tema di spaccio di stupefacenti «gli esiti tragici si sarebbero evitati».
Il membro laico del Csm, Pierantonio Zanettin, ha chiesto al comitato di presidenza di aprire una pratica in Prima commissione per valutare se sussistano «profili di incompatibilità» del magistrato del Tribunale di Roma, Chiara Riva, che ha disposto la scarcerazione, il giorno stesso dell'omicidio, di uno dei presunti assassini di Emanuele, escludendo per lui anche la misura dell'obbligo di firma richiesta dal pm.
Serve una verifica per capire le ragioni alla base di questa che Zanettin definisce «giurisprudenza buonista» in materia di droga, frutto di un'interpretazione del reato «benevola», soprattutto «di fronte a recidive». Perché quando giovedì sera Mario Castagnacci è stato arrestato per possesso di stupefacenti non era la prima volta. Era già entrato e uscito dal carcere per motivi di droga. Nell'appartamento che divideva con altre tre persone, al Pigneto, periferia est della capitale, i carabinieri hanno trovato 43 grammi di hashish, sei grammi di marijuana e 7,5 di cocaina, oltre a un libro con nomi degli acquirenti, conti e guadagni dello spaccio. «Consumo di gruppo», è la tesi difensiva accolta dal magistrato. Dopo l'arresto è rimasto solo poche ore in caserma e la mattina successiva è stato scarcerato per attendere il processo da uomo libero. Senza restrizioni. Libero anche di massacrare Emanuele vantandosi di aver preso parte al pestaggio collettivo fuori dal Mirò di Alatri. «La discrezionalità del giudice in una simile decisione mi lascia perplesso - spiega Zanettin - vengono applicate misure più rigorose per casi minori, con ragazzi che, pizzicati con dosi di stupefacenti, si fanno settimane di arresti domiciliari. Qui c'era un grande quantitativo di droga e la persona era recidiva. Voglio capire l'iter processuale».
Anche Paolo Palmisani, secondo l'ex fidanzata, faceva uso di cocaina. Che era un violento, al pari di Castagnacci, lo dicono tutti. Ad Alatri, infatti, da quando i due fratellastri sono dietro le sbarre, sembra essersi sgretolato il muro di omertà che ha caratterizzato le prime battute delle indagini. Nessuno si nasconde più, tutti vogliono parlare. E il racconto è univoco: è stato Domenico a infastidire per primo Ketty e Emanuele, in attesa di limone e sale davanti al bancone per gustare una tequila.
Questa mattina a Regina Coeli verranno ascoltati i due fermati. Gli interrogatori si terranno per rogatoria, perché sono stati scovati a Roma e gli atti saranno poi trasmessi alla magistratura di Frosinone, responsabile delle indagini. Entrambi rispondono di omicidio volontario e hanno precedenti legati al traffico e spaccio. Secondo gli inquirenti avrebbero sferrato loro i colpi mortali alla vittima. Raggiunta più volte di spalle, alla testa, mentre tentava di fuggire, come hanno confermato i medici legali che ieri hanno effettuato l'autopsia.
Ma le indagini proseguono.
I carabinieri sono convinti che altri, oltre ai 5 indagati, abbiano avuto un ruolo nella vicenda. Nebbioso resta anche il movente, perché non convince del tutto l'ipotesi che Castagnacci e Palmisani abbiano semplicemente voluto affermare con la violenza il loro ruolo di controllo sul territorio.
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