Forse neanche se ne rendevano conto, il ministro degli Esteri Angelino Alfano e il suo collega degli Interni Marco Minniti, di mettere le premesse per una caso giudiziario e diplomatico senza precedenti. La mattina del 23 aprile, quando il governo italiano decise di concedere la cittadinanza tricolore al piccolo Alfie Evans, ricoverato nell'ospedale di Liverpool, l'iniziativa venne presentata come un gesto umanitario, finalizzato ad agevolare il trasferimento del bambino in Italia, dove i medici del Bambino Gesù di Roma si erano già dichiarati pronti a non staccare la spina e a proseguire le cure, come chiesto dai genitori.
Il gesto umanitario è rimasto simbolico, inutile: le autorità britanniche hanno proseguito per la loro strada, e alle 2,30 di ieri il «guerriero» Alfie ha chiuso gli occhi per sempre. Ma il caso no, quello non è chiuso. Perché a morire ieri notte è stato a tutti gli effetti un cittadino italiano. E la magistratura italiana è costretta ad indagare sul dramma di Liverpool, perché per la legge del nostro paese quello commesso nell'ospedale inglese è stato un omicidio.
Il diritto-dovere a indagare sui crimini avvenuti all'estero che abbiano per vittime (o per responsabili) cittadini italiani è stabilito e regolato dall'articolo 10 del codice di procedura penale: e non fa distinzione tra reato e reato, nè tra un paese straniero e l'altro. Appena due anni fa, nel giugno 2016, il governo ha modificato il codice, stabilendo una volta per tutte che la competenza a indagare sia della Procura di Roma. E così, per esempio, è accaduto per l'assassinio in Egitto del ricercatore italiano Giulio Regeni, con la Procura della Capitale che ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per omicidio, affiancandosi alle indagini già in corso da parte della magistratura del Cairo.
Il caso di Alfie è diverso, perché in Gran Bretagna non verrà aperta alcuna inchiesta, essendo l'eutanasia del piccolo non solo consentita dalle leggi locali ma direttamente disposta da una autorità giudiziaria, il giudice Anthony Hayden. Ma per la legge italiana è tutto diverso. La malattia di Alfie era verosimilmente incurabile, ma il piccolo era in grado di sopravvivere grazie ai macchinari, ed esattamente questa era la volontà dei suoi genitori. Inoltre per undici ore, dopo il primo distacco del ventilatore, il bambino avrebbe respirato autonomamente («Sta prendendo acqua e ossigeno! Ha dimostrato che questi dottori si sbagliano!» aveva commentato il padre).
Appare difficile, in un sistema giudiziario come quello italiano che prevede l'azione penale obbligatoria, che la Procura
di Roma resti inattiva. Certo, sarebbe una indagine ardua, visto che le autorità britanniche difficilmente darebbero un gran contributo. Ma un piccolo italiano era vivo, adesso è morto, e non si può fare finta di niente.
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