Politica

Allarme lavoro nero: senza più misure sarà boom

Con lo stop a blocco dei licenziamenti e cassa integrazione a rischio 3,6 milioni di posti

Allarme lavoro nero. A lanciarlo è la Cgia di Mestre, che fa i conti della crisi post-Covid e stima in 3,6 milioni i lavoratori che rischiano di perdere il posto. Un piccolo esercito che, per sopravvivere, potrebbe finire per essere assorbito dall'economia sommersa. Un effetto inevitabile dell'impennata di disoccupati, che avranno bisogno di trovare un impiego purchessia, e rischiano seriamente di ingrossare le già numerose fila di irregolari o abusivi.

Un quadro cupo, certo, ma purtroppo tutt'altro che irrealistico, come spiega il coordinatore dell'ufficio studi dell'associazione degli artigiani di Mestre, Paolo Zabeo, facendo un raffronto con il 2009. «Annus horribilis spiega Zabeo - per l'economia italiana negli ultimi 75 anni», quando «il Pil scese del 5,5% e la disoccupazione raddoppio nel giro di due anni, passando dal 6 al 13%». Eppure ora, dopo il lockdown, «se le cose andranno bene prosegue Zabeo la contrazione del Pil sarà del 10%, quasi il doppio rispetto a 11 anni fa». E dunque «è molto probabile, dal momento in cui verranno meno la Cig introdotta nel periodo Covid e il blocco dei licenziamenti, che il tasso di disoccupazione assumerà dimensioni molto preoccupanti».

Il rischio, appunto, è un boom del lavoro nero. Con una buona parte di quanti perderanno il posto di lavoro che andrà ad aggiungersi ai 3,3 milioni di occupati in nero attuali (il 38%dei quali è al Sud). Già così come sono, ricorda la Cgia, «pur essendo sconosciuti a Inps, Inail e fisco», questi 3,3 milioni di occupati in nero «originano effetti economici negativi devastanti», in quanto «producono 78,7 miliardi di euro di valore aggiunto sommerso».

E il tutto mentre, sottolineano gli artigiani di Mestre, né la politica né l'opinione pubblica sembrano avvertire il pericolo del boom del lavoro nero e nemmeno, più in generale, «la situazione di difficoltà economica» in cui versa l'Italia. Eppure gli indicatori economici lascino pochi dubbi in tal senso. Proprio ieri, per esempio, il centro studi della Cna ha analizzato tassi di natalità e sopravvivenza delle attività imprenditoriali, osservando come, se pure nel 2019 sono nate più di 353mila nuove imprese, il tasso di sopravvivenza a cinque anni ci dice che sei imprese su dieci dopo un lustro non esistono più: una su due sopravvive al primo anno di attività, quando nel 2008 il rapporto, ora intorno al 50%, era superiore al 65%. In questo quadro, appunto, il rischio di cercare un rifugio nel nero è elevatissimo. «Con troppe tasse, un sistema burocratico e normativo eccessivamente oppressivo e tanta disoccupazione - sintetizza Renato Mason, segretario della Cgia - l'economia irregolare ha trovato un habitat ideale per diffondersi, soprattutto in alcune aree del Paese». E oltre ai danni all'economia, c'è da fare i conti con la concorrenza sleale che «chi opera completamente o parzialmente in nero fa prosegue Mason alterando i più elementari princìpi di democrazia economica nei confronti di chi lavora alla luce del sole ed è costretto a pagare le imposte e i contributi fino all'ultimo centesimo».

Dal punto di vista territoriale, il fenomeno del nero, e il potenziale boom ulteriore che potrebbe arrivare a fine cassa integrazione, riguarda soprattutto il Sud e regioni come la Calabria (21,6 per cento di irregolari, secondo l'Istat), la Campania (19,8%), la Sicilia (19,4%), la Puglia (16,6%) e il Lazio (15,9%), mentre Aosta, Veneto e provincia di Bolzano hanno un tasso di irregolari inferiori al 10 per cento.

Quanto ai settori più colpiti dal Covid, la crisi nel 2020 si fa sentire soprattutto nelle costruzioni (-24,2 per cento), negli ordinativi all'industria (-20,9), nell'export (-20,4), e anche i consumi delle famiglie si attestano su un -11,9 per cento, quasi in fotocopia con la contrazione del Pil nel primo semestre (-11,7).

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