Roma Avversario comune, mezza unione. In piazza San Silvestro arriva il popolo dell'Italia sovrana, convocato dalla presidente di Fdi Giorgia Meloni ma stretto intorno a un palco senza insegne di partito. Una scelta fatta per aggregare il centrodestra intorno a una proposta politica comune, che al momento gira intorno al totem del ritorno alle urne e dell'alternativa al Pd. Al corteo nel centro di Roma e poi intorno al palco ci sono bandiere di Fdi e dei salviniani, più sensibili alla seduzione del sovranismo: poi qui Fratelli d'Italia gioca in casa. Niente insegne di Fi, spicca un manipolo di vessilli dei popolari per l'Italia di Mario Mauro, accompagnati dalle note fuori stagione di un vecchio brano dei Righeira. Sul palco, invece, la pluralità c'è, e le prove tecniche di unità sembrano concrete. Quantomeno, per un giorno, la polvere prodotta da frizioni e spaccature finisce sotto il tappeto.
Alla chiamata di Giorgia hanno risposto in tanti. C'è Giulio Tremonti, c'è Gaetano Quagliarello. E nonostante le tensioni della vigilia - dopo le dichiarazioni di Salvini sulla Lega «smarcata» dagli azzurri per le comunali in Veneto - c'è anche la delegazione di Forza Italia. Uno dopo l'altro arrivano Renato Brunetta e Altero Matteoli. C'è anche Daniela Santanché. E c'è Giovanni Toti, che con l'asse lepenista del centrodestra ha il feeling migliore. Una dopo l'altro tutti salgono sul palco. La prima è la Santanché, che mette nel mirino i «ladri di voti» come Alfano e guadagna applausi per sé e fischi per Angelino. Quando Marsilio introduce Brunetta, invece, si alza qualche fischio, frutto degli strascichi lasciati dalla dolorosa rottura consumata nel centrodestra alle ultime comunali nella capitale. Ma non è il giorno per rispolverare i rancori. Così sul palco piomba la Meloni, prende il microfono e intima alla platea di ascoltare Brunetta, perché «noi sogniamo un'Italia nella quale siamo tanti, siamo grandi e vinciamo». Poi fa la sua parte il presidente dei deputati azzurri, prima dicendosi «sovranista», poi ricordando che «solo uniti si vince», e che «chiunque divida il centrodestra vuole il governo di Renzi»: la piazza lo applaude.
A celebrare la tregua e le prove di dialogo ecco Salvini che all'alba del suo intervento si schiera col Cavaliere contro l'ennesima indagine della magistratura («Ma andate a indagare i mafiosi - ringhia - invece di fare i guardoni al buco della serratura»), e poi apre alla prospettiva di andare al voto uniti, con una «coalizione la più ampia possibile». Però, aggiunge, «con un programma preciso che dica innanzitutto che al primo posto ci sono gli italiani, e lo dico a Silvio Berlusconi, un paese che non controlla la sua moneta non è sovrano, è schiavo».
Quanto alla legge elettorale, taglia corto il leghista, «non me può fregare di meno: dobbiamo andare a votare prima possibile». Insomma, sorrisi e paletti. Perché le differenze ci sono. Ma, come dice Toti, anche se «può essere difficile mettersi intorno a un tavolo» bisogna farlo per non «essere comparse nella prossima sfida elettorale».
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