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All'indice le idee del "Giornale": la Turchia detta la linea alla Ue

Articoli e pubblicazioni nel rapporto sull'islamofobia di Bruxelles. Redatto da una fondazione di Ankara

All'indice le idee del "Giornale": la Turchia detta la linea alla Ue

I turchi mettono all'indice giornali, libri e politici italiani. E lo fanno con i soldi dell'Unione europea, cioè in definitiva nostri.

Dietro il paravento di un uso arbitrario dell'«islamofobia» si consuma così il più beffardo dei paradossi: un «rapporto» sferra bacchettate a destra e a manca - soprattutto a destra - e lancia accuse pesanti quanto approssimative, per arrivare alla più scontata delle generalizzazioni: «L'islamofobia in Italia è reale». Il primo problema è che questa improbabile lezione di democrazia e tolleranza parla turco. La beffa è che - come recita la copertina - la pubblicazione sia stata «prodotta con il sostegno finanziario dell'Unione europea», la nostra Europa che si trincera dietro un pilatesco «i contenuti sono di esclusiva responsabilità degli autori delle relazioni nazionali; e non riflettono necessariamente le opinioni dell'Unione europea e del ministero degli Affari esteri - Direttorato degli Affari europei».

Il ministero in questione è appunto quello turco. E fra i loghi compaiono anche la «Cfcu» (ministero del Tesoro) e un programma di dialogo euro-turco. Il voluminoso rapporto è opera del Seta, la Fondazione per la ricerca politica, economica e sociale con sede ad Ankara, un'organizzazione che - come si legge su Wikipedia - «nonostante affermi di essere indipendente, ha stretti rapporti con il governo dell'Akp guidato da Recep Erdogan». Il punto di osservazione è questo. E il contenuto? In oltre 840 pagine, il rapporto Seta 2018 passa in rassegna 34 Paesi, analizzandone rapidamente la situazione politica, mediatica e giuridica. «Siamo lieti di presentare la quarta edizione del rapporto sull'islamofobia europea - scrivono gli autori Enes Bayrakl e Farid Hafez - questa volta in collaborazione con l'Istituto Leopold Weiss e con il generoso finanziamento da parte dell'Unione Europea». I due curatori principali, peraltro, ricordano anche che nel frattempo la Commissione europea ha nominato il suo nuovo «coordinatore per l'odio anti-musulmano»: Tommaso Chiamparino. Per quanto riguarda la politica italiana, grande spazio viene dedicato alla Lega e al suo leader, Matteo Salvini, come a Fratelli d'Italia.

Quanto ai media, la sommaria analisi parte da quelli che vengono definiti gli «articoli aggressivi» della «tradizionale stampa di destra» «contro le migrazioni, l'islam e le comunità islamiche». Si citano a questo proposito Il Giornale, La Verità, Il Tempo e Libero e poi «opinion leader» come Marcello Veneziani, indicati come autori di articoli contro il Papa e la stampa cattolica più progressista. Quindi tocca a singoli articoli o «irritant title», e a pubblicazioni, maldestramente lette o malintese. «Il quotidiano Il Giornale - si legge - ancora una volta, nel 2018 ha pubblicato due libri ispirati espliciti sentimenti anti-islamici». Il primo è I nemici di Oriana. La Fallaci, l'Islam e il Politicamente corretto, di Alessandro Gnocchi, l'altro Il libro nero dell'islam italiano. Né si risparmia Il Foglio col suo Il suicidio della cultura occidentale.

E a proposito di contraddizioni autolesioniste è una metafora a dir poco eloquente il fatto che l'Europa affidi questo suo esame di coscienza in sostanza alla Turchia, che non solo è un osservato speciale per il trattamento che riserva a oppositori e informazione (Amnesty International parla di «violazioni dei diritti umani» e di un dissenso «represso in modo spietato») ma è anche impegnata in un'operazione militare nel nord della Siria, un'aggressione che proprio il Parlamento europeo ha condannato tanto da chiedere sanzioni e interruzioni degli accordi commerciali. Intanto il regime ha progressivamente abbandonato la storica laicità di Ataturk per sperimentare un mix di islamismo e nazionalismo voluto da Erdogan. Il rais d'altra parte è l'erede di Necmettin Erbakan, il fondatore di «Milli Gorus» che con disprezzo definiva l'Europa come «un club cristiano».

Ma erano appunto altri tempi.

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