S e non fosse un (dannosissimo) governo sarebbe uno (spassosissimo) spettacolo di cabaret.
Nel giorno in cui sul gabinetto Conte si abbatte la mazzata della crescita zero annunciata da Istat (nonostante i nuovi vertici amici dell'istituto), i soci fondatori inscenano il consueto sketch delle torte in faccia, stavolta sull'argomento giustizia. Con contorno di risse tra comprimari: alle 22 di sera il Consiglio dei ministri viene interrotto di nuovo dopo uno scontro tra il grillino Bonafede e la leghista Bongiorno.
La riforma del Guardasigilli, giudicata rispettivamente «epocale» da Gigino Di Maio e «acqua fresca» da Matteo Salvini, doveva essere varata dal Cdm, dopo lunga gestazione, alle 15 di ieri. La solenne riunione è iniziata con quasi due ore di ritardo, dopo un inutile vertice tra premier e vicepremier per capire che fare, e mentre i protagonisti continuavano a scambiarsi pernacchie via agenzie. Ed è finita cinque minuti dopo, per ko tecnico. «Solo un rinvio, questioni procedurali», provavano a buttare acqua sul fuoco da Palazzo Chigi. Ancor più oscura la spiegazione data dai portavoce salviniani, secondo i quali il rinvio è dovuto a «motivi tecnici legati a provvedimenti da approvare in determinate fasce orarie». Sui social partono gli sberleffi sulle «fasce orarie», c'è chi evoca l'apericena e chi i parcheggi: «C'ho la riforma della giustizia in disco orario». Al ddl, che dovrebbe introdurre sanzioni per i magistrati che non mandano avanti i processi, è legata anche l'entrata in vigore del blocco delle prescrizioni, voluta dai Cinque stelle e votata dalla Lega, cui però non piace. Ma lo scontro apparente sul merito delle misure nasconde il consueto gioco delle parti di una maggioranza che si fa opposizione da sola. Salvini, parlando come d'abitudine da solo davanti al telefonino su Facebook, spiega che «Bonafede ci mette anche la buona volontà, ma la sua è una mezza misura, acqua, non c'è scatto», dando sostanzialmente del cretino al Guardasigilli. Il quale se la prende: «Salvini venga in Cdm invece di stare sui social». Poi la frecciata: «Ci spieghi le sue argomentazioni, visto che nelle riunioni di governo non ho sentito obiezioni». Il capo della Lega assicura di avere lui la vera riforma in tasca, con «la separazione delle carriere e il dimezzamento dei tempi dei processi», poi spiega che non ne può più dei no dei grillini «alla Pedemontana, ai termovalorizzatori e al petrolio», che però con la giustizia c'entrano poco. Di Maio gli fa il verso e si dichiara anche lui «stufo dei no» della Lega, che dovrebbe «dire qualche sì», soprattutto ad un testo così «epocale» come quello partorito da Bonafede.
Sono quasi le 19 quando l'allegra combriccola dei ministri torna a riunirsi a Palazzo Chigi. Nelle trattative parallele che accompagnano la riunione, e dove si prova a limare il testo per trovare un accordo, si parla poco di giustizia e molto dei vari dossier che si affastellano sul tavolo del governo e lì restano arenati: «Voi ci bloccate le Autonomie, perché noi dovremmo darvi la giustizia?», lamentano i leghisti. I Cinque stelle minacciano rappresaglie sul Sicurezza bis, che il Carroccio vorrebbe blindare con la fiducia.
I grillini insinuano che «il vero problema di Salvini siano le
intercettazioni, vogliono restrizioni», e alludono: «Con tutte le storie aperte che hanno nel Carroccio, da Siri a Savoini, la loro preoccupazione principale è quella: chissà cosa può uscire...». La rissa continua nella notte.
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