Roma - I tempi del cronoprogramma per un anno, del super governo da una riforma al mese sono lontani. Alla fine anche Matteo Renzi sta pagando il costo del «Vietnam» parlamentare, dei compromessi, dei cambi di casacca. E se è vero che alcuni obiettivi sono stati centrati (dalla legge elettorale per la Camera alla Buona scuola), sia pure con discutibili arrangiamenti e a colpi di fiducie, negli ultimi mesi la macchina del premier arranca su tanti altri temi. La legge elettorale, ad esempio, resta una riforma monca finché la spaccatura del Pd bloccherà il nuovo Senato, stabilendo se sarà un organo elettivo oppure no. E anche il resto della riforma della Costituzione, con l'aggiornamento del titolo quinto, quello sulle autonomie, è argomento di cui si tornerà a parlare solo dopo l'estate.
Lo stesso varo del consiglio d'amministrazione della Rai sulla base della vecchia legge Gasparri, prima disprezzata poi serenamente applicata, è frutto di un compromesso legato al fatto che la riforma del servizio pubblico radiotelevisivo (che nel cronoprogramma era prevista per lo scorso aprile) è ancora tutta da definire. Il risultato è un Cda lottizzato come sempre, in barba ai proclami di rottamazione e meritocrazia così cari al renzismo.
Solo in extremis il governo è riuscito a ottenere l'approvazione sul dl di riordino degli enti locali: dopo quattro passaggi a vuoto, con la maggioranza che non era riuscita a garantire il numero legale, la norma è stata approvata ancora una volta apponendo la fiducia e scatenando le polemiche perché nel frattempo era stata infarcita di altre disposizioni, diventando il veicolo per correggere i conti attraverso una serie di tagli soprattutto nel campo della Sanità. Non proprio il massimo della trasparenza. Anche il progetto di introdurre elementi di maggiore flessibilità nel sistema pensionistico è ancora a caro amico. Troppi i nodi da sciogliere e troppo pochi i soldi a disposizione: se ne riparlerà alla ripresa dei lavori parlamentari dopo l'estate.
Ma è sul sentiero delle liberalizzazioni che la marcia del governo Renzi ha subito i rallentamenti maggiori. Il passaggio al mercato libero nel campo delle forniture di luce e gas pur approvato, è stato di fatto rinviato al 2018, su pressione dell'Authority del settore, secondo cui, paradossalmente, la liberalizzazione rischia di far aumentare le bollette. E la pioggia di emendamenti, soprattutto da parte dei grillini, ha ingolfato il ddl concorrenza costringendo la maggioranza a rinviare il voto a settembre.
E forse è meglio così, visti i tanti dubbi sulla riforma dell'Rc auto. E ora incombe anche il rischio di fare passi indietro, come lo stop alla portabilità dei fondi pensione e il ritorno dei costi per quella dei mutui.
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