Coronavirus

Altro flop del vertice Ue "L'Europa è senza una politica sanitaria"

I premier navigano a vista: ipotesi lockdown continentale. E Michel ammette il fallimento

Altro flop del vertice Ue "L'Europa è senza una politica sanitaria"

Il vertice dei capi di governo dell'Europa evoca, questa volta, i sussurri di una novena. È sera e ci si vede a distanza, ognuno collegato dalla sua capitale e tutti con quel senso di impotenza che pesa sulle spalle. Non poteva andare peggio. Un vecchio nemico si è ripresentato a sommare paura a paura, a chiedere sangue, scegliendo le vittime a caso, perché quello che conta è seminare morte. Non c'è solo il virus a segnare questa fine di ottobre. È l'autunno del terrorismo islamico, due parole che almeno in privato i leader delle nazioni riescono a pronunciare, perché nei comunicati ufficiali puoi anche smussare, fino a svanire, ma quando si parla non è facile girarci intorno.

L'Europa è fragile e purtroppo è questo il punto di partenza di qualsiasi discussione. Il primo contagio l'ha messa in ginocchio, il secondo è un calcio in pancia, la speranza sta diventando la merce più rara. Si ragiona su quello che si può fare. All'inizio dell'estate si diceva che un'altra quarantena sarebbe stata una carestia, da scongiurare in ogni modo. Adesso invece ci siamo. È così in Francia. È poco più morbida in Germania. È all'orizzonte in Spagna. Toccherà anche all'Italia e poi a seguire di terra in terra. La frase che ricorre è: «Il virus è una questione europea». Solo che ogni volta la questione europea non riesce a trovare una risposta. È stato così anche per l'immigrazione e per le varie crisi economiche di questi anni. Quando le cose contano davvero l'Unione si perde. È un difetto genetico. L'Europa sembra non fatta per essere unita o forse ci vuole solo pazienza.

Sul tavolo adesso c'è l'idea di un lockdown sincronizzato a livello europeo. Ma che significa in pratica? La Ue non può imporlo. È un suggerimento. È una speranza o una minaccia. È, molto più semplicemente, un modo per dire: cerchiamo di collaborare, di muoverci insieme, di sentirci ognuno parte di qualcosa di più grande, perché qui da soli non se ne esce. Appunto. Solo che bisogna fidarsi e come si è visto nessuno si fida. Si cerca di andare sulle cose concrete. Ursula Von Der Leyen, presidente di quella commissione che dovrebbe essere il governo della Ue, prova a indicare missioni in comune. Lavoriamo a un sistema di tracciamento dei contagi. Troviamo una cura, un vaccino, un sistema sanitario europeo. Non chiudiamo i mercati, non ci rinserriamo nelle nostre frontiere, non rinunciamo a essere una comunità. Ci prova e tutti la rassicurano, ma poi pensano ai propri elettori, a quello che dirà la gente, perché alla fine è lì che si perde il sogno europeo: i governi hanno paura del voto. Così alla fine non resta che ammettere il fallimento. Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, deve riconoscere che «l'Europa naviga a vista e non ha una politica sanitaria».

Non si trova neppure l'accordo sui soldi, per la ripresa, per ricostruire dopo la notte del Covid. I tempi del Recovery si allungano, un vertice dopo l'altro. Come vanno conteggiati i costi del debito? È su questo che si litiga. La domanda insomma è sempre la stessa: chi paga? Nel frattempo le metropoli europee, compresa Milano, chiedono più soldi. Tutti chiedono soldi.

Il risultato è che da questi vertici alla fine uscirà un protocollo e una manciata di raccomandazioni. Come con il terrorismo: «Siamo uniti e fermi nella nostra solidarietà con la Francia».

E così sia.

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