In America Latina si rischia una valanga rossa

Dal Cile del filo-comunista Boric al Brasile che rivuole Lula, il potere torna a sinistra

In America Latina si rischia una valanga rossa

«Valanga rossa», questa espressione descrive al meglio il nuovo panorama politico latinoamericano del 2021 che sta per chiudersi e dell'anno che verrà. Già, perché dopo i trionfi nei mesi scorsi del filo-comunista Gabriel Boric in Cile, della filo-chavista Xiomara Castro in Honduras e del filo-marxista Pedro Castillo in Perú - oltre alla scontata riconferma nell'elezione farsa del dittatore sandinista Daniel Ortega in Nicaragua - nel 2022 quasi certamente diventeranno «rosse» anche la Colombia e il Brasile. A Bogotà si vota a maggio, e in testa a tutti i sondaggi c'è l'ex guerrigliero bolivariano Gustavo Petro. Il successore di Jair Bolsonaro a Brasilia, dove si andrà alle urne a ottobre, dovrebbe invece essere l'ex carcerato per corruzione (ed ex presidente) Lula, così largamente in testa che, stando ai sondaggi, oggi vincerebbe già al primo turno. Si voterà anche in Costa Rica, a febbraio, dove ancora i sondaggi non indicano una chiara tendenza su chi succederà al presidente di centro-destra, Carlos Alvarado. Se anche qui la sinistra dovesse imporsi, a fine 2022 avremo «a destra» solo Ecuador, Paraguay, Uruguay, Guatemala ed El Salvador in tutta l'America latina, uno scenario mai presentatosi in passato, neanche quando, a inizio 2000, si registrò l'«ondata rosa» (non rossa, perché più light) che portò al potere l'allora moderato Lula in Brasile, il peronista e illo tempore menemista Néstor Kirchner in Argentina e la socialista alleata della Democrazia Cristiana, Michelle Bachelet in Cile.

Come spiegare invece la «valanga rossa» che oggi si abbatte su questa parte di mondo? Le cause sono molteplici, alcune incidentali come la pandemia, che ha fatto dipendere una parte crescente della classe media impoverita dagli aiuti statali. E il maggior intervenzionismo dello stato è tradizionalmente un cavallo di battaglia della sinistra. Inoltre, con la pandemia, ovunque dove si è votato chi era al potere è stato punito alle urne. È il caso di Cile, Honduras e Perù, dove governava il centro-destra e ha trionfato la sinistra. Tutte le altre cause della debacle destrorsa, tuttavia, sono strutturali. In primis l'organizzazione del variegato schieramento politico che s'ispira ai modelli cubani e venezuelani, che si riunisce ogni tre mesi nel cosiddetto Gruppo di Puebla, dando le direttive da seguire a tutti i suoi membri. Gruppo di Puebla che altri non è se non il braccio politico più aggiornato del Foro di San Paolo, il «club» di movimenti politici e gruppi armati fondato nel 1990, dopo il crollo del Muro di Berlino, da Fidel Castro e Lula. A queste latitudini, invece, la destra non ha nessun coordinamento politico internazionale degno di nota ed agisce in ordine sparso.

La seconda causa strutturale della «valanga rossa» è rappresentata invece dalla cosiddetta «battaglia culturale», che nel corso dei decenni la sinistra ha portato avanti, vinto e grazie alla quale oggi controlla gran parte delle università e dei media con la sua ideologia, rinnovata dai nuovi «innesti» del globalismo, ovvero il femminismo di nuova generazione, l'indigenismo, il regionalismo, l'ambientalismo gretino e il lgtbismo. Su questi «ismi» che sono i fronti culturali presidiati quasi militarmente dalla sinistra, la destra in America Latina è totalmente assente. E i media hanno un ruolo decisivo. Basti pensare al trionfo di Boric in Cile, con l'Associated Press che ha sganciato a pochi giorni dal ballottaggio, la «bomba» che il padre del candidato di destra Kast era un nazista. Oggi il 90% dei giornali latinoamericani è «liberal» ma con una radicalizzazione ben più marcata che in Italia, il paese più catto-comunista al mondo, il che ovviamente aiuta il successo della «valanga rossa». Basta guardare la recente copertina della rivista brasiliana Istoé, con il presidente Bolsonaro ritratto come Hitler.

Rebus sic stantibus è dunque pressoché certo che i «rossi» prenderanno il potere a maggio in Colombia, fatto inedito per il principale alleato degli Usa nella regione e, a ottobre in Brasile, dove avremo un «Lula reloaded», molto più vicino rispetto al passato alle dittature di Cuba, Nicaragua e Venezuela.

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