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Ammucchiata anti Meloni. Ma Calenda si sfila subito

Al congresso Cgil sancito il patto Schlein-M5s. Il leader di Azione: "Mai al governo con voi"

Ammucchiata anti Meloni. Ma Calenda si sfila subito

Quando la moderatrice Lucia Annunziata dice che quello sul palco del congresso Cgil potrebbe essere chiamato «un Cln», un comitato di liberazione nazionale (sottinteso: dal nuovo fascismo), un po' scherza e un po' no.

E dalle facce compunte di Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Maurizio Landini si capisce che anche a loro piacerebbe molto immaginarsi come novelli Nenni, Amendola e Togliatti (nessuno di loro potrebbe fare il De Gasperi o il La Malfa) pronti alla lotta di resistenza su salario minimo e Bonus 110%: «Chiudiamoci in una stanza e decidiamo cosa fare tutti insieme», dice l'applauditissima Schlein, proponendosi come perno dell'opposizione mentre Conte mastica amaro.

A rovinare la festa del nascituro Cln ci pensa però Carlo Calenda che, senza giri di parole, dice: «No, non potrei governare con questi qua». Perché, spiega, «non condivido la linea di politica estera: la Resistenza ucraina va sostenuta militarmente fino alla sconfitta russa». Partono i fischi dei funzionari Cgil in platea e lui: «Volete che vi racconto che all you need is love o volete sapere come la penso? Fate una manifestazione al giorno per la democrazia e poi non mi fate parlare?». Ma l'elenco dei dissensi è lungo: il leader del Terzo Polo difende il Jobs Act contro cui si accaniscono Pd e M5s: «Ha creato un milione e 200mila posti di lavoro, sono dati Istat». Obietta che la politica «green» contro i motori a scoppio «non è compatibile con la manifattura di questo paese». E poi condanna il no a rigassificatori: «Volete chiudere il polo dell'alluminio in Sardegna?». E ai rigassificatori: «La monnezza in discarica inquina enormemente più». Boati e strepiti, ma lui non demorde: «Siamo tutti bravi a fare liste dei sogni coi soldi pubblici, ma in politica le scelte vanno fatte», e hanno sempre «un costo». Anche sul salario minimo (su cui Conte e Schlein si litigano la primazia) taglia corto: «Le vostre proposte mandano all'aria la contrattazione nazionale». E persino Landini annuisce. No alla patrimoniale che «fa scappare i capitali» e rende poco: «Con le battaglie ideologiche si rafforza il governo». Schlein glissa, Conte prova a reagire: «Voi votate col centrodestra», accusa. «Sull'Ucraina. Ma con il Pd: è di destra anche il Pd?», chiede Calenda. E l'europarlamentare renziano Nicola Danti: «Che faccia di bronzo Conte: lo preoccupiamo quando votiamo col centrodestra. Lui che è stato capo di un governo di destra, con la destra».

Lo sfondo è quello del Congresso Cgil, che il segretario Landini ha concepito come una via di mezzo tra C'è posta per te della De Filippi e la Samarcanda di santoriana memoria: un talk show continuo, con lui medesimo ospite d'onore. Soprattutto quando si tratta di leader del centrosinistra, di cui Landini si ritiene di gran lunga il migliore, ancorché incompreso perché purtroppo, al momento, gli tocca occuparsi (senza gran risultati) di scocciature come i lavoratori e i contratti. Non che tutti i talk gli riescano col buco: nel panel sull'Ucraina (nascosto a metà mattinata) è stato invitato un sindacalista di Kiev, che denuncia i massacri russi e l'imperialismo di Mosca; un sindacalista finlandese che celebra l'ingresso del suo paese nella Nato; e un rappresentante della Ong Solidar che invita a sostenere senza tentennamenti la Resistenza ucraina. Poi spunta il rappresentante Cgil, tal Sergio Bassoli, a dire che invece la guerra la ha iniziata Kiev nel Donbass e che la Ue «non deve piegarsi alla Nato».

E i tre invitati lo guardano con occhi sbarrati, chiedendosi dove siano finiti.

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