Le amnesie dei governi e le Gran Croci mai tolte agli «sgherri» di Tito

Le onorificenze della Repubblica date nel '69 da Saragat a tre fedelissimi del «Maresciallo»

Nell'aprile 2013, ultimi giorni del governo Monti dopo le elezioni, si scopre che la presidenza del Consiglio aveva incaricato il ministero degli Esteri di indagare su tre sgherri di Tito per accertare se siano ancora in vita. Il maresciallo jugoslavo che fece infoibare gli italiani si è portato la più alta onorificenza della nostra Repubblica nella tomba. E nessuno potrà cancellarla fino a quando non cambierà la norma che permette la revoca solo ai vivi. Nel 2013, però, almeno due fedelissimi di Tito, Cavalieri di Gran Croce al Merito della Repubblica italiana, erano ancora vivi. Uno, Marko Vrhunec, commissario politico della brigata Lubiana e dopo la guerra segretario di Tito e ambasciatore sarebbe fra noi ancora oggi, nella capitale della vicina Slovenia. Peccato che il ministero degli Esteri del governo Letta, che è succeduto a Monti e quelli dopo non abbiano mai fatto nulla. Nonostante Vhrunec almeno fino al 2016 rilasciasse interviste su You Tube e sui media sloveni difendendo il maresciallo, i suoi massacri, la Jugoslavia socialista e mostrando le numerose onorificenze. Oggi la Farnesina ammette, dopo un mese di ricerche, che «non troviamo traccia della richiesta di accertare l'esistenza in vita dei decorati di Tito». Nella migliore delle ipotesi si è perso tutto nei meandri governativi. Nella peggiore la richiesta è stata insabbiata per motivi politici.

La brutta storia inizia il 16 aprile 2013 con una lettera dell'allora prefetto di Belluno, Maria Luisa Simonetti, oggi a Lucca, in risposta alla richiesta degli esuli e del sindaco di Calalzo, Luca de Carlo, di togliere le onorificenze italiane a Tito e ai suoi sgherri consegnate dal presidente Saragat nel 1969. Il prefetto risponde che per Tito non si può fare nulla essendo morto, ma rivela uno spiraglio sugli altri. «La Presidenza del Consiglio dei Ministri () - si legge nella lettera - ha reso noto di aver richiesto al Ministero degli Affari Esteri di riscontrare l'esistenza in vita di Mitja Ribicic, Franjo Rustja, e Marko Vrhunec, stretti collaboratori del Presidente Tito, anch'essi insigniti di onorificenze dell'Ordine Al Merito della Repubblica Italiana e di effettuare gli opportuni accertamenti sulla situazione giudiziaria di ciascuno riguardo ai crimini commessi durante il periodo bellico di cui fossero stati ritenuti responsabili».

Rustja era già morto nel 2005 a Lubiana, ma nessuno ha indagato. Ribicic era in vita, anche se per poco. Originario di Trieste, al vertice della repressione titina in Slovenia dal 1945 al 1957 è poi diventato primo ministro jugoslavo. Nel 2005 venne accusato di crimini di guerra, ma dopo 60 anni le prove erano sparite. Ribicic si è portato nella tomba la Gran Croce al Merito della Repubblica italiana il 28 novembre 2013. Impossibile che la nostra ambasciata non sapesse chi fossero questi personaggi, ma nessuno sembra aver fatto nulla per provare «l'esistenza in vita» come chiesto dal governo Monti.

Ancora più clamoroso il caso di Vrhunec, commissario politico di Tito e dopo la guerra suo segretario e ambasciatore jugoslavo alle Nazioni Unite e Ginevra. Fino allo scorso anno era sicuramente vivo, anche se malato. E ha sempre difeso Tito, i suoi massacri e il socialismo jugoslavo. Probabilmente è ancora in vita, ma nessuno l'ha mai appurato per ritirargli l'alta decorazione italiana. Una inaccettabile dimenticanza o un vergognoso insabbiamento dei governi Letta, Renzi, Gentiloni, che adesso riguarda anche l'esecutivo attuale.

L'ennesimo schiaffo, dopo le belle parole del capo dello Stato, Sergio Mattarella, lo scorso 10 febbraio giorno del Ricordo delle foibe. Gli esuli continueranno a leggere sul sito del Quirinale i nomi di Tito e dei suoi sgherri come alti decorati della Repubblica italiana.

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