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"Anatolia ad alta pericolosità geologica. Il rischio tsunami per l'Italia è reale"

Il presidente dei geologi italiani: "L'area sarà soggetta a scosse ancora per mesi. E da noi servono interventi rapidi per evitare pericoli"

"Anatolia ad alta pericolosità geologica. Il rischio tsunami per l'Italia è reale"

Arcangelo Francesco Violo, presidente dei geologi italiani. Cosa è successo in Turchia e Siria?

«È un'area nota per la sua pericolosità geologica. La faglia esistente che disloca la penisola anatolica con la placca arabica si è mossa in maniera importante, spostandosi di tre metri. Ed è proprio lo spostamento della faglia che provoca terremoti di questa portata».

Nella storia si ha memoria di altri terremoti del genere?

«È già successo. Ma per rendere l'idea dell'accaduto, la faglia del Monte Vettore, responsabile del sisma del centro Italia nel 2016, si spostò nell'ordine del metro, metro e mezzo».

Come accade questo tipo di fenomeno?

«C'è un accumulo di energia nel sottosuolo che si crea negli anni in queste faglie. A un certo punto l'energia si libera provocando questi spostamenti. In base all'entità dello spostamento stesso e alla lunghezza della faglia coinvolta, si genera il terremoto. Maggiore è lo spostamento e il tratto di faglia coinvolto, maggiore sarà la magnitudo e quindi l'energia liberata».

Impossibile da prevedere?

«Non si può prevedere quando accadrà. Ma si può lavorare sulla prevenzione in una zona che si sa essere soggetta ad eventi di questo tipo. E dalle immagini emerge chiaramente che nessuna costruzione fosse realizzata con criteri antisismici».

Per quanto tempo l'area sarà ancora a rischio?

«Purtroppo anche per alcuni mesi. Teoricamente dovrebbero essere eventi minori ma non è detto. L'esperienza dell'Italia centrale ci insegna che la scossa più forte è stata a fine ottobre quando quella iniziale di Amatrice fu ad agosto... Bisogna stare all'erta, un altro evento del genere sarebbe davvero catastrofico».

Nel Sud Italia si è parlato di rischio tsunami. Rischio reale o solo ipotesi remota?

«Il rischio esiste, specie dopo una scossa di tale entità. Sulla costa calabrese, siciliana e anche pugliese l'attenzione va mantenuta alta e la popolazione va istruita su come comportarsi in caso di emergenza».

Cosa si deve fare in questo casi?

«Prima di tutto allontanarsi dalla costa. E poi tenersi in stretto contatto con la protezione civile che deve coordinare le operazioni e informare i cittadini in tempo reale».

Un terremoto così devastante potrebbe capitare anche nel nostro Paese?

«Forse non con questa magnitudo ma in Italia ogni 3 o 4 anni si registrano fenomeni importanti e più volte hanno avuto effetti devastanti, anche considerato il nostro patrimonio edilizio molto vulnerabile».

Cosa si può fare per prevenire?

«Possiamo attivare iniziative per mitigarne gli eventuali effetti. Serve una mappatura degli edifici a rischio ed è fondamentale che vengano adeguati dal punto di vista del rischio sismico. Poi ci sono molte ricostruzioni attive, dall'Aquila, all'Emilia-Romagna fino al Centro Italia. Un'attenta opera di prevenzione ridurrebbe di molto i pericoli».

La tendenza è sempre quella di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati...

«Purtroppo sì. La ricerca professionale in Italia è di primissimo livello e l'attività di pianificazione degli interventi di edilizia sia pubblica che privata può permettere di mettere in sicurezza il nostro patrimonio che è e rimane molto fragile. Anche il sisma bonus, al di là dei problemi di applicazione e di sostenibilità, dovrebbe diventare strutturale. È uno strumento fondamentale per i prossimi 20 o 30 anni».

Abbiamo imparato qualcosa o siamo fermi alle parole?

«L'esperienza ci dà informazioni utili per essere pronti. La politica deve rendere questi strumenti efficaci al più presto. Non c'è tempo da perdere».

In casi come questo si diffonde la paura. Quali accorgimenti si possono prendere? Ci sono dei consigli di base da seguire?

«Per esempio è utile conoscere bene la propria abitazione dal punto di vista strutturale per sapere quali siano le zone più solide e sicure. Ma è fondamentale fare un grande lavoro di aggiornamento dei piani di protezione civile dei comuni che tutti i cittadini dovrebbero conoscere.

Serve un'educazione al comportamento di autoprotezione».

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