San Paolo (Brasile) Yorver Briceño, di 37 anni, è morto di tubercolosi lunedì notte nel quartiere di Valle Frio, nella città di Maracaibo, la capitale dello stato di Zulia. I suoi parenti non hanno neanche i soldi per seppellirlo e, non sapendo più cosa fare, ieri con l'aiuto dei vicini sono riusciti a costruirgli una bara di fortuna e lo hanno seppellito dietro la loro casa, poco più di una baracca.
Senza vaccini, senza cibo né medicine sono migliaia i condannati a morte da una dittatura inumana come quella di Nicolás Maduro che, di fronte ad ogni evidenza, non solo nega di fare entrare qualsiasi aiuto umanitario perché «non abbiamo bisogno di elemosina», ma nega che «in Venezuela ci sia qualsivoglia crisi, è solo l'impero che ci vuole invadere». Non gli crede più da tempo chi votò in massa per Chávez e oggi, soprattutto i milioni di poveri che vivono nei ranchitos, come si chiamano a Caracas le favelas. Sentirsi dire, ad ogni ora e su ogni canale tv dal dittatore che ormai li controlla tutti «che in Venezuela non c'è nessuna crisi» mentre sono loro, i poveri, che muoiono di fame, è una presa in giro che sarebbe insopportabile anche per Giobbe.
«Non so fino a quando riusciremo a controllare la nostra gente affamata» fa sapere a Il Giornale un soldato dell'esercito del quartiere 23 de Enero che, per ovvie ragioni, chiede l'anonimato. Un quartiere decisivo per rovesciare il generale dittatore Marcos Pérez Jiménez, il 23 gennaio del 1958. Insomma, dal campo tutto lascia intendere che la decisione di Maduro di non fare entrare gli aiuti umanitari già pronti a Cucuta, al confine colombiano, avrà per lui gravi conseguenze.
Un dramma ben noto alla Chiesa cattolica venezuelana che da due anni denuncia anche i soprusi del regime, ricevendo in cambio minacce. Un concetto ribadito ieri a Tv2000 da monsignor Jose Trinidad Fernandez, segretario generale della Conferenza episcopale venezuelana: «Noi non ci fidiamo di Maduro perché non sta facendo un governo che aiuta il Paese». E in vista della conferenza per il Venezuela che inizia oggi a Montevideo, in Uruguay e che vorrebbe dare altri tre mesi di legittimità ad un criminale, perché tale è chi affama e fa morire d'inedia il suo popolo, monsignor Trinidad Fernandez ha detto: «Maduro cerca il dialogo solo per trarne vantaggio. Non è possibile andare avanti così, questa non è una vera democrazia. Non c'è nessuna garanzia economica e sociale in questo governo. La gente è veramente stanca». Più chiaro di così.
«Noi e la Caritas ha concluso il monsignore - non facciamo gli interessi politici ma quelli della gente. L'aiuto umanitario non risolve la situazione del Paese ma riduce l'impatto sulle persone più povere e vulnerabili della società». Di certo c'è invece che Maduro ha dato ordine di mettere qualche camion per bloccare il ponte Simon Bolivar che separa il Venezuela dalla città colombiana di Cucuta, primo centro di raccolta degli aiuti. E mentre il presidente costituzionale Juan Guaidó ha fatto di questi aiuti anche ieri la sua missione, un Maduro sempre più immerso nella sua realtà parallela ieri annunciava il lancio di un'università per autisti di bus. Ci sarebbe da ridere non fosse che i venezuelani stanno morendo di fame e per mancanza di medicine. Neonati, ragazzi, anziani, malati di diabete, ipertesi, giovani donne con il cancro al seno.
Una tragedia che va avanti da anni e che solo Maduro si ostina a non vedere. Per il dottor Rubén Limas, dello stato di Carabobo, saranno «tra i 300 e i 400mila i miei compatrioti che moriranno nel 2019, se questi aiuti non sono lasciati entrare».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.