B otte, lacrime, feriti tra i poliziotti e tra i manifestanti. E alla fine, tanta rabbia. Finisce male la giornata più temuta a Casale San Nicola, a nord di Roma, dove ieri sono arrivati i primi 19 profughi che la prefettura ha destinato alla ex scuola privata «Socrate», presa in gestione da una coop che, secondo il locale comitato, aveva avviato i lavori di ristrutturazione per farne un centro di accoglienza a fine aprile, ancora prima dell'assegnazione del bando prefettizio per far fronte all'arrivo dei quasi 3.200 richiedenti asilo dislocati nella capitale.
Dopo tre mesi di presidi notturni, di trattative e incontri con prefetti e politici, e a pochi giorni dal «via libera» ufficiale della prefettura all'arrivo dei profughi, ieri mattina la polizia con 5-6 mezzi e una trentina di agenti ha scortato il bus che portava i primi 19 dei 160 richiedenti asilo che saranno ospitati nella vecchia scuola rimessa a nuovo. Di fronte alla quale da mesi sono accampati una trentina di «profughi italiani», famiglie senza casa che reclamano pure loro il diritto all'accoglienza.
L'arrivo dei richiedenti asilo all'indomani della «ribellione» scoppiata a Quinto di Treviso promette scintille. Il «convoglio» trova ad attenderli un blocco stradale umano di residenti e militanti di CasaPound, schierati lungo la strada di accesso alla scuola sotto un sole impietoso. Tra t-shirt che denunciano il «business dei profughi» rivelato da Mafia Capitale, bandiere italiane al vento e inno di Mameli, i tentativi di dialogo tra manifestanti e forze dell'ordine vanno avanti per un po', tra mezze promesse di ridurre il numero degli ospiti «definitivi». Nel frattempo, però, il prefetto annuncia la linea dura: «Queste persone (i profughi, ndr ) entreranno nel centro, rimuoveremo il blocco, non faremo passi indietro». La polizia a quel punto inizia ad avanzare, spostando di peso donne e anziani che s'erano seduti per terra in «prima linea», e inizia il finimondo, con lanci di sassi, ombrelloni e sedie di plastica dai manifestanti contro i poliziotti che di rimando caricano, forzando il presidio, mentre tra pietre in volo e manganellate a volontà qualcuno appicca il fuoco ai cassonetti e ad alcune balle di fieno portate sull'asfalto, completando il clima da guerriglia.
Alla fine il bus passa, un passeggero fa un cenno di saluto, un manifestante risponde col saluto romano, altri vedono dall'interno del pullman un dito medio alzato, e basta il rumor della provocazione a far scaldare di nuovo gli animi, mentre i blindati della polizia si moltiplicano e arrivano in zona ambulanze e camion dei vigili del fuoco a sirene spiegate. Nella ex scuola ci sono più poliziotti che profughi, e il bilancio della giornata parla di 14 feriti tra le forze dell'ordine, almeno tre ricoverati e decine di contusi tra i manifestanti - due dei quali sono stati arrestati, oltre a una denuncia e a una quindicina di identificazioni - il tutto mentre la procura di Roma annuncia l'apertura di un fascicolo d'indagine sugli scontri. Ma non cambiano di una virgola le posizioni delle «fazioni» in campo. Il prefetto attacca la «scena indecente e indecorosa» e auspica che i residenti-resistenti «abbiano sulla propria fedina le cose di cui si sono macchiate». Il comitato di quartiere si difende. Uno dei leader, Alberto Meoni, rivela che dal municipio due giorni fa avevano proposto un accordo al ribasso sul numero degli ospiti prima di far entrare i profughi, evidentemente saltato, e invita Gabrielli a dimettersi dopo aver ordinato la carica su donne e anziani. Il movimento - che ieri ha incontrato alla Camera esponenti del M5S, e che presto potrebbe ricevere la visita del leader leghista Matteo Salvini - giura sulla propria apoliticità, rimarcando come «chiunque condivida la nostra battaglia sia il benvenuto, senza strumentalizzazioni», tanto che anche CasaPound, pur partecipando al presidio (chiuso in serata), non avrebbe alzato «bandiere politiche». «Domani (oggi, ndr ) ci sarà una riunione in cui si rifletterà su cosa è successo e si deciderà cosa fare», conclude Meoni.
di Massimo Malpica
da Roma
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