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Anni di insulti e minacce. L'alleanza impossibile tra grillini e democratici

Dalle offese tra i leader alle risse alla Camera e in Senato. Ma in politica nulla è scontato

Anni di insulti e minacce. L'alleanza impossibile tra grillini e democratici

Un'alleanza tra «pidioti» e «squadristi grillini»? Perché no, in politica l'impossibile non esiste, persino una maggioranza di governo tra chi si è insultato violentemente fino a ieri mattina. Il partito ancora guidato dall'«ebetino di Firenze», «il pollo che si crede un'aquila», «il buffoncello», «il «ritardato morale», insomma Renzi secondo i vari insulti che gli ha cucito addosso Beppe Grillo, sta ragionando su un appoggio esterno a un esecutivo M5s, ovvero «l'Arca di Noè che sta imbarcando truffatori, scrocconi, riciclati e massoni», il movimento di «un pregiudicato che dà ordini da un villaggio turistico alla moda sul mare africano», secondo la definizione del segretario Pd. Vero, è soprattutto la minoranza dem a tramare l'inciucio, l'area del partito che riporta a capataz titolari di corrente interna, da Franceschini (che in cambio sogna la presidenza della Camera, ma lui smentisce tutto) a Orlando (il «ministro dell'illegalità» secondo il M5s) fino al governatore pugliese Emiliano tramite il suo fidato parlamentare Boccia, che in passato definì Grillo «un milionario in pantofole che istiga all'odio».

Eppure il primo incontro ravvicinato di Franceschini con il popolo grillino, nella «marcia su Roma» convocata da Grillo per protestare contro la bocciatura di Rodotà al Quirinale nel 2013, non fu esattamente dei migliori. Sorpreso dal corteo nella veranda di un ristorante romano, Franceschini venne salutato affettuosamente dal popolo M5s a colpi di «Ah Franceschini, li mortacci tua!», «Venduto», «Buffone», «Vergogna», «Ridacci i soldi», «Che te vada per traverso». Più di recente il M5s ha accusato Franceschini di «piazzare amici al ministero della Cultura trasformato nella sua corte», e di altre nefandezze. A proposito di minoranza Pd, è quella che «fa ridere» Alessandro Di Battista, perché «hanno leccato il culo per cinque anni al capo approvando ogni porcheria solo per avere una poltrona e ora gridano allo scandalo perché sono stati fatti fuori», ha detto il Che Guevara grillino.

Ma in generale è proprio il Pd che, per i grillini, è un partito di «impresentabili che hanno preso soldi da Buzzi e da Mafia capitale per le elezioni» (Di Maio), un partito sciolto come «in una diarrea nauseante» nella bella immagine di Grillo. Un'altra arbiter elegantiae come la senatrice Paola Taverna, da un palco smentì le ricostruzioni giornalistiche che le attribuivano uno «zozzoni» rivolto ai banchi del Pd a Palazzo Madama. «Ve immaginate io che me giro e je dico zozzoni? No, gli ho detto mafiosi, schifosi, siete delle merde, ve ne dovete andare, dovete morire» (in compenso un candidato campano del Pd, Gerardo Giannone, le diede della «zoccola»). Ma nel Pd il vero campione di insulti al M5s è Vincenzo De Luca, presidente della Campania. Di Maio? «È un noto sfaccendato, chiedeva al papà i soldi per pizza e birra». Di Battista? «Il gallo cedrone». Fico? «Il moscio». Tutti e tre? «Tre mezze pippe». La Raggi? «Una bambolina imbambolata». La Lombardi? «Ma va a morì ammazzata».

Più ancora di Berlusconi e Salvini, è proprio il Pd il target principale degli attacchi grillini, da «Maria Etruria Boschi» a, ma anche alla vecchia guardia è stata spernacchiata senza riguardo, dalla «salma» Fassino allo «zombie politico Bersani, un fallito», mentre l'ex segratario Pd ora Leu ha definito «fascista» il movimento. Un'accusa che torna spesso. Quando uscì la notizia delle multe di 150mila euro previste dal M5s per i dissidenti, la senatrice Francesca Puglisi della segreteria nazionale Pd ritrovò «linguaggi e strumenti che denotano una cultura fascista».

L'ipotetica alleanza avrebbe anche l'appoggio di Leu, dunque la Boldrini, di cui si ricorda il sondaggio lanciato da Grillo sul suo blog: «Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina». E giù una raffica di insulti irripetibili.

Le condizioni ottimali per un'alleanza di governo.

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