Appello a Israele: "Non entri a Rafah". Anche l'Italia fra i tredici firmatari

Trovati i corpi di tre ostaggi. C'è anche Shani, ragazza-simbolo del 7 ottobre

Appello a Israele: "Non entri a Rafah". Anche l'Italia fra i tredici firmatari
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Mentre nel nord di Gaza imperversano i più duri combattimenti dall'inizio della guerra fra Hamas e Israele e il ministro della Difesa Gallant annuncia che «altre truppe entreranno a Rafah», è arrivato ieri mattina il primo carico di aiuti umanitari attraverso il molo galleggiante temporaneo costruito dagli Stati Uniti. Gli aiuti arrivano da Cipro, la Commissione europea copre le spese di trasporto. «Uno sforzo multinazionale», spiega il Comando centrale Usa, precisando che nessun soldato americano è sbarcato e che nei prossimi giorni arriveranno 500 tonnellate di aiuti.

L'ingresso di sostegno umanitario è ormai questione di vita o di morte a Gaza e il molo allevierà le pene dei civili palestinesi alla fame. Ma non può sostituire le rotte terrestri. Per questo, «alla luce della devastante e crescente crisi umanitaria in tutta Gaza» i ministri degli Esteri di 13 Paesi, tra cui l'Italia - insieme con Francia, Germania, Danimarca, Finlandia, Olanda, Regno Unito, Svezia, Australia, Canada, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Nord - hanno scritto al ministro degli Esteri israeliano Katz per ribadire da una parte solidarietà per il brutale attacco di Hamas il 7 ottobre, dall'altra la loro «opposizione» a un'operazione militare su vasta scala a Rafah, che avrebbe «conseguenze catastrofiche» sui civili. La città - spiegano - è «l'unica zona della Striscia che offre ancora riparo e assistenza sanitaria, seppure limitata» e dove ha sede la maggior parte del personale umanitario, delle forniture e dei principali punti di ingresso degli aiuti. I 13 ministri chiedendo «un'azione urgente» a Israele, «per aumentare significativamente il flusso di aiuti», a cominciare dall'apertura di «tutti i valichi di frontiera principali, compreso quello di Rafah».

Oltre 600mila palestinesi hanno già lasciato l'area orientale della città, al confine con l'Egitto. «Qualsiasi attacco a Rafah è inaccettabile. Infliggerebbe un'altra ondata di dolore e miseria quando avremmo bisogno di un'ondata di aiuti salvavita», insiste Antonio Guterres che, come i ministri, ma nel ruolo di segretario generale dell'Onu, chiede il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e maggiori protezione e aiuti per i civili di Gaza.

La guerra imperversa durissima in tutta la Striscia. A Jabalya, nord di Gaza, uccisi 60 miliziani di Hamas, recuperati i corpi di altri 3 ostaggi uccisi il 7 ottobre, tra cui Shani Louk, portata via dai terroristi sul retro di un pick up dal rave della strage. «Riporteremo tutti gli ostaggi a casa, sia i vivi che i morti», promette Benjamin Netanyahu, mentre proseguono gli attacchi di Hebzollah, che dal Libano ha lanciato 75 razzi, e i raid di risposta.

Di fronte alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aja lo Stato ebraico si difende dall'accusa di genocidio mossa dal Sudafrica e tramite l'avvocato Gilad Noam spiega che Gaza «sarà liberata dal regime omicida di Hamas» solo con il «rovescio»

militare del gruppo estremista a Rafah, dove non c'è stata «un'operazione su larga scala» perché Israele «non vuol fare male ai civili». È «una guerra tragica - ammette - ma non c'è genocidio». «Israele deve difendersi».

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