Arcelor se ne va il 4 dicembre ma il governo spera nei pm

Al Mise riunione inutile. Furlan (Cisl): lo scudo penale va ripristinato. Conte si affida alla clemenza dei giudici

Arcelor se ne va il 4 dicembre ma il governo spera nei pm

L'avvocato del popolo non sa che fare e si affida alla clemenza dei pm. L'ultima illusione di una mediazione politica per salvare l'Ilva si è dissolta ieri pomeriggio in via Veneto a Roma. Bandiere e cori degli operai di Taranto, come da rituale di queste trattative, hanno accompagnato i segretari confederali fino all'ingresso del ministero per lo Sviluppo economico, dove si erano dati appuntamento con governo e Arcelor Mittal. Eppure, nell'aula che ha ospitato centinaia di trattative per salvare aziende in crisi, ieri è andato in scena un teatrino svuotato di senso. La vera azione si è svolta nelle cancellerie dei tribunali, dove, uno dietro l'altro, sono stati depositati gli atti che trasformano il sentiero della speranza di Ilva in un calvario giudiziario. Con la politica che certifica la sua impotenza.

La giornata è stata scandita dalle carte giudiziarie. La prima in mattinata: una comunicazione legale di Arcelor Mittal con cui si annunciava il graduale spegnimento degli altiforni e lo stop a tutte le attività tranne quelle necessarie alla sicurezza dello stabilimento di Taranto a partire dal 4 dicembre. In allegato un calendario con scadenza finale a metà gennaio per arrivare all'«eutanasia» di una fabbrica. Otto pagine intitolate «Gestione di sospensione dell'esercizio dello stabilimento di Arcelor Mittal Italia di Taranto e delle centrali Arcelor Mittal Italy Energy».

Poco dopo arrivava il comunicato stampa del procuratore capo di Milano Francesco Greco che annunciava l'apertura di un'inchiesta «a strascico» («per verificare l'eventuale sussistenza di ipotesi di reato») e l'insinuazione della procura nella causa civile sul recesso dei Mittal. Infine, mentre il vertice era già iniziato, la mossa dei curatori giudiziari dell'Ilva, il soggetto giuridico che ha dato in affitto lo stabilimento al gruppo franco-indiano dietro l'impegno di un successivo acquisto.

Zero politica, zero mediazione, solo carte bollate. Con il premier, assente al vertice, che parla da avvocato: «Arcelor Mittal si sta assumendo una grandissima responsabilità, in quanto tale decisione prefigura una chiara violazione degli impegni contrattuali e un grave danno all'economia nazionale. Ne risponderà in sede giudiziaria». E, significativamente, Conte ha anche benedetto la mossa dei pm di Milano, dimenticando che il coinvolgimento della magistratura è uno dei fattori che ha contribuito a ingarbugliare la vicenda: «Ben venga anche l'iniziativa della Procura di Milano che ha deciso di intervenire in giudizio e di accendere un faro anche sui possibili risvolti penali della vicenda». L'intervento dei pm tra l'altro, rischia il paradosso: la procura di Taranto intima di chiudere l'altoforno 2 entro il 13 dicembre se non risanato. La procura di Milano intimerà di tenerlo aperto?

Contraddizioni non sfuggite alla segretaria generale della Cisl Anna Maria Furlan che ha chiesto a Conte di riproporre lo scudo penale e convocare i Mittal per una vera trattativa: «Prima della battaglia in tribunale dobbiamo fare un confronto importante tra noi».

Un richiamo alla politica ieri paralizzata. Il ministro Stefano Patuanelli, si è limitato a petizioni di principio: «Arcelor Mittal non se ne può andare». L'azienda, per voce dell'ad Lucia Morselli, ha ribadito che la revoca dello scudo penale è tra le cause del recesso.

Ora, ha spiegato, «lavorare nell'area a caldo di Taranto è diventato un crimine. Non è una cosa di poco conto» e «il governo ci ha preso in giro». Ma il ministro ha taciuto: sullo scudo penale i giallorossi restano spaccati. A spese degli operai: si va verso la cassa integrazione per 8.700 operai.

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