Nel palazzaccio dove infuriava la caccia a Berlusconi si respira aria di tregua, dopo la riabilitazione del Cavaliere decisa dal tribunale di sorveglianza. Anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando che ieri passa da queste parti dice che il clima è cambiato, d'altronde «non siamo più a un utilizzo sistematico delle vicende giudiziarie come elemento di propaganda politica»: e la magistratura milanese, che di quella stagione è stata protagonista, sembra oggi avere altre priorità ed altre emergenze.
Certo, per averne una conferma esplicita bisognerà aspettare ancora una decina di giorni, il tempo che il codice concede alla Procura generale per impugnare l'ordinanza che ha restituito al leader azzurro lo stato di incensurato e insieme ad esso la candidabilità al Parlamento. Se la Procura non si opporrà alla riabilitazione, sarà inevitabile leggere anche questo come un segnale di pace nei rapporti tra toghe e Forza Italia.
Ma cosa farà la Procura generale? «Stiamo studiando le carte, qualunque cosa dicessi ora sarebbe una stupidaggine», spiega ieri Roberto Alfonso, il capo della Procura, attento a non sbilanciarsi. Ma è ovvio che la decisione della Procura dovrà essere guidata solo da una valutazione: quante possibilità ha un ricorso contro l'ordinanza di venire accolto? Quali argomenti possono convincere gli stessi giudici che hanno riabilitato Berlusconi a cambiare idea?
Ieri negli ambienti della Procura generale si conferma che il tema cruciale è quello della buona condotta tenuta da Berlusconi successivamente alla condanna, essendo chiaro che tutti gli altri requisiti (tra cui il risarcimento alle parti civili) sono stati soddisfatti da tempo. I giudici di sorveglianza hanno ritenuto che l'esistenza dei processi ancora in corso a Berlusconi per corruzione in atti giudiziari, scaturiti dal caso Ruby, non siano un ostacolo alla riabilitazione, perché - in base alla presunzione di non colpevolezza - essere indagato non comporta una violazione della buona condotta. È questo l'unico punto su cui la Procura generale potrebbe aggrapparsi, sostenendo la tesi contraria.
Ma approfondendo le carte, si scopre che la decisione a favore di Berlusconi da parte dei giudici di sorveglianza si basa su due precedenti recenti, uno dei quali estremamente significativo. Sono due sentenze della Cassazione che nel 2012 e nel 2014 - ribaltando gli orientamenti precedenti della stessa Corte - hanno stabilito espressamente che la riabilitazione spetti anche al condannato che nel frattempo sia stato nuovamente indagato. La seconda sentenza riabilita un palermitano che nel frattempo era stato accusato di omesso versamento Iva: bagatelle, si dirà. Ma la prima, la 272 del 2012, concede la riabilitazione a un condannato che dopo avere espiato la pena era stato nuovamente inquisito addirittura per associazione a delinquere di stampo mafioso, e che per questo si era visto negare il beneficio proprio dal tribunale di sorveglianza di Milano.
Ebbene, scrissero i giudici, «alla luce del principio costituzionale di non colpevolezza, la semplice esistenza di una o più denunce o la sola pendenza di un procedimento penale a carico dell'istante per fatti successivi a quelli per i quali è intervenuta la condanna non valgono, in assenza di altri elementi apprezzabili, a legittimare il rigetto della domanda».Difficile che nel caso di Berlusconi la Cassazione, sul cui tavolo la pratica prima o poi arriverebbe comunque, possa rimangiarselo.
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