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Le armi di D'Alema: affare da 4 miliardi. Ecco la sua rete

L'ex premier sarebbe il mediatore di una fornitura con la Colombia. Fdi e Iv chiedono chiarimenti

Le armi di D'Alema: affare da 4 miliardi. Ecco la sua rete "vicina" a Leonardo

Un caso Beppe Grillo-Moby moltiplicato per mille, un signore che non è in Parlamento ma che conosce assai bene i palazzi della politica e i modi per oliare un affare. E che affare. Perché il signore in questione si chiama Massimo D'Alema, è stato segretario del Pds, ministro degli Esteri e presidente del Consiglio. E due mesi fa si è proposto al governo colombiano come mediatore di una commessa da quattro miliardi di euro per navi, sommergibili e aerei da guerra prodotti dalle aziende di Stato italiane. In particolare da Leonardo, l'ex Finmeccanica presieduta da un ex banchiere di area ulivista come Alessandro Profumo. Lo stesso che nel 2015 partecipò alla cena da mille euro a coperto per finanziare la fondazione di D'Alema. Dalla Procura di Roma si apprende che per adesso nella vicenda non si intravvedono profili di rilevanza penale. Ma la rilevanza politica è evidente, e altrettanto cospicui gli interrogativi che attendono risposta, con Fdi e Iv che già annunciano un'interrogazione al governo. Perché una trattativa tra l'Italia e il governo colombiano per la fornitura bellica era già in corso dal 2018, nell'ambito dei piani di collaborazione tra i paesi. Oggetto, tra l'altro, gli aerei prodotti da Leonardo. Che a dicembre quando sente sul collo il fiato della concorrenza coreana, chiede l'appoggio del governo, che ovviamente arriva. Incontri e trattative si susseguono. Fin quando a metà febbraio una stupefatta ambasciatrice colombiana a Roma chiama il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè e gli dice di avere ricevuto una chiamata di D'Alema che si offriva come mediatore della fornitura per incarico di Leonardo. Mulè chiede spiegazioni, Leonardo nega tutto. Il problema è che D'Alema non millantava affatto. L'ex premier quell'incarico dalla azienda del suo amico Profumo l'ha ricevuto davvero, nonostante la legge 185 vieti l'utilizzo di mediatori nelle forniture di armi. E nonostante una trattativa ufficiale fosse già in corso. Perché Leonardo si affida a D'Alema? «È una domanda dice il sottosegretario Mulè - a cui non riesco a trovare una risposta sensata. Ho chiesto a Leonardo di fornirmene una, ed è da due settimane che aspetto invano». Nel frattempo, il sito «Sassate» rende nota la vicenda. E La Verità pubblica l'audio di una riunione tra una serie di interlocutori sudamericani e italiani in cui D'Alema spiega molto chiaramente che «questo negoziato deve passare attraverso di noi, un solo canale». E l'«obiettivo alla fine è avere un premio di otto milioni di euro». Esattamente il due per cento della commessa. A registrare l'audio, uno dei partecipanti che poi - forse perché estromesso dall'affare - lo mette in circolazione. La versione ufficiale di Leonardo è di non avere dato alcun incarico a D'Alema. Versione solo formalmente vera, perché l'incarico va a uno studio americano, il Robert Allen Law di Miami, che in realtà è uno studio di copertura di D'Alema. E che i rapporti tra l'azienda di Stato e «Baffino» ci siano lo dimostra il fatto che, secondo quanto risulta al Giornale, fin dall'anno scorso una serie di accordi erano stati stretti tra Leonardo e un commercialista bolognese il cui principale pregio è essere il professionista di fiducia di D'Alema. Si chiama Gherardo Gardo, ed era presente per conto di D'Alema ad un incontro il 14 dicembre scorso a Cartagena con alcuni esponenti locali, ma già prima di quell'incontro era in contatto con la struttura operativa di Leonardo.

Insomma il 17 febbraio quando Lucio Cioffi, direttore generale di Leonardo, dopo la chiamata dell'ambasciatrice colombiana a Mulè giura al sottosegretario di non sapere nulla di un ruolo di D'Alema forse non racconta tutto. E intanto aspetta risposta un'altra domanda: a chi si riferiva l'ex premier quando nella riunione garantiva che il governo italiano sapeva della sua attività?

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