Coronavirus

"Arrestate soltanto se è necessario"

Per il pg della Cassazione le carceri sono una prateria per i contagi da Covid: evitare

"Arrestate soltanto se è necessario"

Il carcere come «extrema ratio», da applicare solo quando ogni altra misura è insufficiente: un principio di civiltà che però i vertici della magistratura riscoprono grazie al coronavirus. Così dalla Procura generale della Cassazione parte l'appello alle toghe di tutta Italia: andateci piano con le manette, perché le carceri affollate sono una prateria per i contagi. Ridurre gli arresti in flagranza, risparmiare sulle richieste di mandati di cattura, sospendere l'esecuzione di quelli già emessi, rinviare l'esecuzione anche delle condanne definitive: inquisiti che stavano per essere spediti in cella come pericoli pubblici, verranno lasciati liberi. Fino alla fine della pandemia.

L'appello viene dalla fonte più alte di tutte: Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione, che il 29 ottobre - come rivela ieri sera Nicola Porro su Quarta Repubblica - ha scritto alle procure generali di tutta Italia e al Dap, la direzione delle carceri. Davanti all'avanzare del virus, Salvi chiede (non può ordinarlo, ma vista l'autorevolezza è verosimile che le procure si adeguino) che si torni indietro di sei mesi, all'inizio dell'aprile scorso, quando lui stesso aveva dato le linee-guida per ridurre al minimo indispensabile il numero degli arrestati. Sul momento l'invito venne raccolto, poi a partire dalla metà di luglio, senza che nessuno avesse suonato il «cessato allarme», le manette tornarono a scattare: mandati di cattura fermi da settimane nel cassetto vennero eseguiti, e le carceri tornarono a riempirsi. Con immediata ripartenza dei focolai.

Ora Salvi torna a invitare alla moderazione: le indicazioni di aprile, scrive «possono essere prese come orientamento anche nell'attuale fase di ritorno della situazione emergenziale, con importante aumento dei contagi nelle strutture carcerarie». Così ecco la lunga lista di «consigli» che Salvi dirama ai colleghi: cui ricorda (cosa che evidentemente qualcuno aveva dimenticato) che ci sono situazioni «fondate su ragioni di età, familiari e di salute» in cui il carcere non può essere applicato se non in casi di «motivata eccezionalità». «D'altra parte - scrive Salvi - mai come in questo periodo va ricordato che nel nostro sistema processuale il carcere costituisce l'extrema ratio». Per cui bisogna «arginare la richiesta e l'applicazione delle misure cautelari», e «procrastinare l'esecuzione delle misure già emesse». E anche in caso di arresti in flagranza, Salvi richiama i colleghi a rispettare davvero la legge: valutando «con particolare rigore», con «ponderazione ancora più puntuale», e «con tutta la necessaria attenzione» se l'arresto sia indispensabile. Un richiamo che, evidentemente, Salvi ritiene necessario.

E poi: evitare le camere di sicurezza della questura, evitare gli obblighi di firma che costringono a andare in giro, evitare di eseguire le condanne definitive a meno che «il condannato possa mettere in pericolo la vita o l'incolumità delle persone». Dal ministero della Giustizia, fanno sapere che Bonafede era stato informato della lettera di Salvi: ma che si tratta di materie «su cui il ministro non deve esprimere alcun consenso».

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