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Arriva il conto a Ingroia: centomila euro di danni

La Corte dei Conti manda alla sbarra l'ex pm per le assunzioni nella società siciliana di cui è amministratore. E lui grida al complotto: «Iniziativa ingiusta e abnorme»

Arriva il conto a Ingroia: centomila euro di danni

D a paladino della legalità a presunto sprecone di pubblico denaro. Da pm che manda alla sbarra gli amministratori che sbagliano a ex pm diventato amministratore pubblico e che viene mandato alla sbarra dai giudici contabili. Non c'è pace per l'ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. La Corte dei conti lo ha citato in giudizio, sostenendo che ha creato un danno erariale di 100mila euro con le 59 assunzioni fatte come di amministratore di Sicilia e-Servizi, la società che si occupa della piattaforma informatica della Regione siciliana. Un conto salatissimo, e non solo per l'ex pm. Sì, perché il pasticciaccio brutto dell'uscita dalla società del socio privato e della riassunzione da parte della Regione del personale liquidato è costato alle casse siciliane, secondo i giudici contabili, un danno di circa un milione di euro. Soldi pubblici che, per la Corte dei conti, dovranno risarcire il governatore Rosario Crocetta (265mila euro), lo stesso Ingroia (100mila euro), sei ex assessori e persino l'avvocato distrettuale dello Stato Massimo Dell'Aira (100mila euro), che ha certificato la legittimità di quell'operazione.

Un brutto colpo, per Ingroia, anche se atteso visto che l'indagine della Corte dei conti andava avanti dal febbraio scorso. Un brutto colpo che si aggiunge a quelli via via collezionati dall'ex pm da quando, lasciata la toga, si è lanciato nell'agone politico. Prima il flop elettorale della sua ormai desaparecida «Rivoluzione civile», trasformata in «Azione civile». Quindi lo scontro col Csm sul trasferimento ad Aosta, culminato alla fine nell'addio alla toga. Poi le disavventure da avvocato: il procedimento disciplinare per essersi presentato in Aula prima di aver prestato il giuramento di rito; il «fallo» finito col ritiro della delega, perché non poteva fare il difensore di parte civile nel processo sulla trattativa Stato-mafia che lui stesso aveva istruito. Dulcis in fundo , il cartellino rosso del suo amico, anche lui ex pm, Raffaele Cantone, che da presidente dell'Autorità anticorruzione ha detto che non poteva ricoprire contemporaneamente i due incarichi generosamente elargiti da Crocetta all'amico ex pm dopo il flop elettorale, quello di commissario, e ora amministratore unico, di Sicilia e-Servizi; e quello di commissario della ex Provincia di Trapani. Incarico, quest'ultimo, che Ingroia non ha più, perché il Pd al Parlamento siciliano lo ha silurato impedendo con un emendamento la sua riconferma.

Adesso questa storiaccia di spreco del denaro pubblico, che lo trascina in giudizio (l'udienza è stata fissata per il prossimo 15 maggio). Nel mirino della magistratura contabile 59 assunzioni a tempo determinato, fatte da Ingroia sulla base di una delibera della giunta Crocetta. Ad essere assunti, dopo un periodo di prova, i dipendenti licenziati dall'ex socio provato di Sicilia e-Servizi. L'ex pm ha sempre sostenuto di aver agito così per necessità, perché senza quel personale si sarebbe bloccato il software della Regione, con grave danno per la macchina amministrativa e il blocco di attività essenziali quali il 118. I giudici contabili, però, la pensano diversamente, come dimostra la citazione in giudizio. E il danno erariale, paradossalmente, potrebbe ulteriormente allargarsi, con ulteriori assunzioni per ordine della magistratura. Qualche settimana fa, infatti, il giudice del lavoro ha dato ragione ad alcuni dei 15 dipendenti non assunti al termine del periodo di prova (i licenziati in tutto erano 76), e ne ha disposto il reintegro. Ma se Ingroia li assume, obbedendo al giudice, disobbedisce alla Corte dei conti. Insomma, l'ex pm è nei guai comunque si muova. Prigioniero di un singolare contrappasso, stretto tra due giustizie entrambe contro di lui. E infatti, furibondo, commenta: «Se la notizia, appresa dalla stampa, è vera, sarebbe una vera e propria istigazione a commettere un reato. Questo pm contabile – dice dopo aver ricostruito la vicenda – vorrebbe che io disapplicassi due sentenze del giudice del lavoro. Ma non posso farlo perché commetterei un reato.

Questa iniziativa è così ingiusta, insostenibile e abnorme sul piano giuridico e istituzionale che se qualcuno volesse fare un po' di dietrologia sulle sue ragioni ispiratrici sarebbe addirittura legittimato».

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