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Arriva l'ennesimo annuncio di Conte: promessi soldi a tutti gli italiani

Il presidente del Consiglio in difficoltà presenta il Dl Rilancio affiancato da un ministro per ogni alleato. Attacca la Ue: niente percorsi differenziati sul turismo

Arriva l'ennesimo annuncio di Conte: promessi soldi a tutti gli italiani

Che il momento per il governo sia grave si capisce dal primo colpo d'occhio della conferenza stampa di Giuseppe Conte. Iniziata, puntuale come la morte, all'ora dei tg.

Stavolta il premier non cerca l'assolo da protagonista, anzi sta ben attento a mettersi al fianco un ministro per ogni partito di maggioranza: Gualtieri (Economia) per il Pd, Patuanelli per i grillini, Bellanova per Italia viva e Speranza per Leu. Un segnale chiaro: più la situazione si fa faticosa e complessa, più il premier è contento di dividerne la responsabilità con altri. E non è il solo segnale di rientro nei ranghi: a fine conferenza stampa, il premier annuncia anche che la stagione dei dpcm annunciati a notte fonda da Facebook è finita: per il prossimo provvedimento di uscita dal lockdown, previsto entro il 18 maggio, «proporrò di adottare un decreto legge, in modo da coinvolgere il Parlamento: ormai siamo usciti dalla fase acuta». I contestati pieni poteri sull'emergenza, fa capire, verranno pian piano restituiti.

Niente pochette, vestito blu elettrico e cravatta con bandierina tricolore, Conte esordisce giustificando il ritardo con cui si è arrivati, a metà maggio, al varo del decreto aprile: «Abbiamo fatto un lavoro incredibile, su un testo da 250 articoli e 55 miliardi, l'importo di due manovre di bilancio», sottolinea. «Sapevamo che il paese era in attesa, ogni ora di lavoro pesava per questo e non abbiamo preso un minuto più di quello che era necessario». Soldi un po' per tutti, annuncia: «scuola, università, ricerca, forze dell'ordine, turismo, edilizia, sanità», elenca. Un provvedimento «imponente», come sottolinea anche Roberto Gualtieri. C'è il riconoscimento di qualche intoppo e ritardo dei provvedimenti precedenti: «Ci sono stati problemi sulla cassa integrazione in deroga che vorrei spiegare: ci sono procedure farraginose previste per un contesto normale, ci stiamo lavorando». Sul turismo, Conte attacca le indicazioni della Commissione Ue, che mettono a rischio l'Italia: «Non accettiamo accordi bilaterali che prefigurino percorsi differenziati: sarebbe la distruzione del mercato unico. Lo ho detto anche alla presidente von der Leyen: non lo permetteremo mai». Duro anche sul caso Silvia Romano e gli insulti leghisti alla Camera: «Prima di parlare e giudicare, bisognerebbe farsi rapire in Kenya da banditi col kalashnikov per 18 mesi». Qualche anticipo anche sulla «fase 3» e la ripresa della circolazione in Italia: ancora sospesa, fa sapere: «Le regioni chiedono che rimangano congelati gli spostamenti tra una regione e l'altra, ci pare ragionevole».

Se il parto di questo mega-decreto da 55 miliardi è stato così travagliato è anche perché il premier sa bene che su questo provvedimento si gioca la faccia, e forse anche la poltrona: dopo i disastri comunicativi e la delusione crescente nel Paese per l'effetto nullo o quasi dei precedenti interventi, questa volta non si può sbagliare. Anche perché non ci saranno seconde chance, e il timore che il malessere sociale ed economico investa nei prossimi mesi il governo è sempre più forte. Lo sa Conte, e lo sanno i suoi alleati, compresi quelli che lavorano sottotraccia per indebolirlo. «C'è il rischio che il governo non regga all'urto dei prossimi mesi». Italia viva, incassato il successo sui migranti, non molla: «C'è ancora in ballo la fiducia a Bonafede, e non è per nulla scontato che la daremo», dicono i renziani.

Tra i Cinque Stelle, divisi in bande, privi di guida politica e usciti malconci dal braccio di ferro sui migranti, cova il malessere e il risentimento verso un premier «ormai schiacciato sul Pd e spaventato da Renzi», dicono. E si ventilano minacce sul prossimo snodo politico ad alto rischio: quello sul Mes. Perché lì Conte non potrà cavarsela con il rinvio delle decisioni al Parlamento: al voto parlamentare il governo si dovrà presentare con una posizione. «Il Mes può diventare una seconda Tav», sussurrano i grillini, che hanno sempre un grosso problema a gestire gli acronimi.

Quella Tav che aprì la strada alla crisi del primo governo Conte.

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