Prima i morti, ora le critiche. Si poteva prevedere che la resa dei conti sarebbe arrivata e così è stato. Inizia il processo alla sanità lombarda: un modello, inventato da Roberto Formigoni e dal centrodestra, che ha fatto scuola, molto ingombrante e dunque, nel momento più difficile, esposto ad attacchi multipli. Pd e Cinque stelle parlano all'unisono, due voci che sembrano una sola, e puntano al bersaglio grosso: riportare la sanità sotto il cappello dello Stato centrale. «Noi - attacca Vito Crimi, il reggente del Movimento - siamo per riportare la sanità al livello nazionale». Esattamente lo stesso concetto espresso da Andrea Orlando in un'intervista alla Stampa: «Dopo la crisi bisognerà iniziare a ragionare, traendo una lezione da quanto successo e pensare se sia il caso di far tornare in capo allo Stato alcune competenze come la sanità».
Posto così, il discorso pare il prologo di una requisitoria ad alto tasso di ideologia, un ritorno pavloviano a schemi antichi e vecchi pregiudizi contro il privato che proprio la Lombardia dell'era formigoniana aveva scardinato. In realtà Crimi articola, davanti alle telecamere di Agorà, le sue critiche: «Oggi le regioni stanno dimostrando una differenza di trattamento. Non faccio classifiche, sia l'Emilia che il Veneto stanno dando ottime risposte ma c'è qualcosa che non va». Soprattutto in Lombardia, par di capire, epicentro del contagio e delle croci. Ma che cosa non ha funzionato?
Gli esperti, come il professor Giorgio Palù, virologo di fama internazionale intervistato dal Corriere della sera, offrono spunti taglienti di riflessione: in Veneto «i medici di base e i servizi delle Asl hanno fatto filtro», in Lombardia invece «ricoverando, si è voluto mostrare efficienza in ambito clinico. Ma così non si è fatto alcun argine al virus». Troppi ospedali, dunque, e troppo poco territorio: le grandi strutture, vanto della Regione, si sono trasformate questa volta nel suo tallone d'Achille.
Ma le analisi acute degli scienziati vengono semplificate se non ignorate dai politici che esibiscono i muscoli sul controverso rapporto Stato-Regioni e mettono nel mirino la giunta guidata dal leghista Attilio Fontana. Che pure, fra mille difficoltà è riuscito a far decollare in pochi giorni un nuovo ospedale con l'aiuto della Fiera.
Non importa. «C'è un prima e c'è un dopo Coronavirus - pontifica Carla Ruocco, una delle più note parlamentari Cinque stelle, presidente della commissione Banche - questa esperienza mette in luce quanto sia importante lo Stato centrale e quanto sbagliato sia stato smantellarlo e lasciare la sanità pubblica alle regioni». Staffilate che provocano la reazione di Matteo Salvini: «Se si dovessero aspettare dallo Stato centrale le mascherine, l'ossigeno e le protezioni, campa cavallo».
Ma i partiti di governo, compresa Italia viva, meditano un intervento col bisturi, un taglio netto o almeno un ridimensionamento del potere che oggi è in periferia. Maria Elena Boschi, capogruppo di Italia viva alla Camera, rilancia e precisa: «Sia i Cinque stelle sia il Pd hanno proposto di modificare il titolo V della Costituzione. Mi sembra un buon punto di partenza. Penso però che sia necessario soprattutto prevedere la clausola di supremazia».
Nel tiro alla fune, come è capitato più di una volta in questi giorni drammatici, l'ultima parola spetterebbe a Roma. Non ci sarebbero più venti voci sfasate, in cambio però avremmo i tempi biblici e burocratici di Roma. Auguri.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.